Uttar Pradesh: la concia è morta? Parola agli indiani presenti a Expo Riva

Ancora contraddizioni per l'area pelle

Attività sospese e grandi incognite sul futuro. Dopo i mesi di stop imposto dal governo, le concerie dell’Uttar Pradesh temono di non poter più riprendere a lavorare. Il loro disagio è condiviso dal resto della filiera indiana della pelle che si chiede se è meglio imboccare altre strade o attendere la fine della crisi. Opinioni divergenti che sono emerse forti e chiare dagli stand del padiglione A3 di Expo Riva Schuh, dedicato agli espositori indiani.
“Il problema è molto sentito e sempre più acuto” spiegano dallo stand di Naaz Exports, azienda calzaturiera di Kanpur che da oltre 70 anni produce quasi esclusivamente scarpe in pelle. “Fatichiamo a reperire la materia prima per cui saremo costretti a spostare la nostra attività, probabilmente a Calcutta – continuano -. È costoso? Sicuramente sì, moltissimo, ma quale alternativa abbiamo?”.
Per Bhola Footwear Export, altra azienda calzaturiera dell’Uttar Pradesh, le difficoltà delle concerie sono insuperabili. “Credo si possa parlare di un business ormai morto in quella regione – spiega -. Non penso la crisi si possa risolvere perché in quell’area purtroppo ci sono molte concerie che scaricano illegalmente i propri reflui nel fiume Gange e non si tratta di un ostacolo facile da superare”.
Tra chi pensa di partire e chi è dubbioso, c’è chi ha già compiuto il passo. “Molte concerie si sono trasferite – riprende -. Altri, per esempio imprese della pelletteria e del calzaturiero, hanno iniziato a rifornirsi di materia prima dai produttori di altre regioni“. Oltre il confine indiano, anche: “Può essere una soluzione quella di contattare fornitori esteri, ma bisogna fare bene i conti perché può essere molto oneroso” spiegano da Amin Tannery, azienda conciaria e calzaturiera fondata nel 1946 nella Regione di Unnao. Si trova, in pratica, sulla sponda opposta del fiume Gange rispetto all’Uttar Pradesh, dove le concerie continuano a svolgere la propria attività. “Io credo che la crisi possa risolversi, ma prima che tutto torni come prima ci vorranno almeno due anni” spiega un rappresentante della famiglia Amin, titolare dell’azienda. “Alcuni clienti intanto se ne sono già andati – conclude – e questo sta favorendo altre regioni e altri Paesi”. (art)

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