Si chiama VR Pay ed è il servizio che permette agli utenti di Alibaba di eseguire acquisti nella realtà virtuale con un semplice cenno della testa. La piattaforma cinese dell’e-commerce ha sviluppato lo strumento per permettere a chi visita gli store virtuali delle case di moda di comprare gli oggetti graditi senza interrompere l’esperienza VR: l’alternativa, oggi, è togliere gli occhiali e ricorrere al cellulare. Non è il primo investimento di Alibaba in questa direzione. Nel 2015 ha presentato Alipay, il sistema di riconoscimento facciale che permette ai clienti di pagare con un selfie. Mentre il gruppo cinese continua a esplorare le opportunità di business offerte dal digitale, le case di moda non smettono di fargli la guerra. L’associazione USA delle Calzature e degli Accessori (AAFA, più di mille brand rappresentati) ha chiesto all’United States Trade Rapresentative di reintrodurre Alibaba nella blacklist (da cui è stata depennata nel 2012) dei siti di e-commerce che alimentano il mercato del falso. La stessa richiesta all’agenzia statunitense l’ha fatta Unifab, gruppo anti-contraffazione francese dalle colonne del Wall Street Journal. A cinque mesi dalla feroce polemica che ha accompagnato l’adesione (poi annullata) del portale cinese all’IACC, l’associazione internazionale per la lotta alla contraffazione, Jack Ma continua a sua volta a gettare benzina sul fuoco: “Circa la metà dei prodotti in promozione su Alibaba è falso – ha ammesso il patron in una recente intervista al Financial Times –. Ma è colpa è delle griffe, che hanno delocalizzato in Asia”. (rp)
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