“Quando dal 2008, per gli effetti della crisi sul mercato europeo, abbiamo cercato sbocchi su nuovi mercati internazionali – racconta Pasquale Della Pia (terzo da sinistra nella foto), brand calzaturiero Deimille – partecipando alle fiere, notavamo il favore dei buyer per il nostro prodotto. Ma quando sentivano che l’azienda è di Napoli, si raffreddavano. Perché? Perché associano il nostro territorio al falso”. L’industria del fake è un handicap competitivo per il fashion system nostrano. Il convegno “La lotta alla contraffazione” organizzato in occasione dell’inaugurazione della mostra didattica “Questa non è una sòla” (Napoli, Camera di Commercio), raccogliendo le testimonianze degli imprenditori, esplora tutti i danni che il falso arreca alla filiera della moda: in discussione ci sono vendite e quindi opportunità di crescita e di nuova occupazione. “Non abbiamo strumenti per difendere creazioni e soluzioni, e siamo costretti a soffrire passivamente la concorrenza del fake – spiega Mariano Di Lillo (primo da sinistra) del gruppo pelletiere My Choice -. Investiamo il 15% del fatturato in ricerca e sviluppo, sobbarcandoci poi i costi per audit sulla qualità di manifattura e materiali. Poi troviamo sui mercati esteri modelli come i nostri, ma prodotti in Cina o Bangladesh e venduti a un prezzo minore”. “C’è bisogno della repressione da parte delle autorità competenti delle attività illegali, ma anche di agire sul consumatore finale, operando sul fattore culturale”, ricorda Salvatore Marone, della conceria Russo di Casandrino. Perché “la concorrenza del falso la vinciamo con ricerca su qualità e stile”, ma è altrettanto importante che il pubblico sia responsabile dei suoi acquisti.
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