L’allarme è stato lanciato da Akram Belhaj, vicepresidente del Centre National du Cuir et de la Chaussure, l’associazione che, in Tunisia, rappresenta concerie, calzaturifici e loro indotto. Terra dove anche aziende italiane hanno, con alterne vicende, delocalizzato parte della produzione, quella tunisina, secondo le parole di Belhaj, sarebbe un’area pelle quasi allo stremo, all’interno della quale, dal 2010 a oggi, il numero di fabbriche attive è passato da 460 a 260. Non solo: di queste ultime, “almeno 60” vivrebbero una situazione di “drammatica difficoltà finanziaria” e sarebbero prossime al fallimento, a causa dell’apertura delle frontiere all’import delle produzioni turche e cinesi, che avrebbero, di fatto, colonizzato il mercato interno tunisino. La soluzione del CCNC, proposta al Governo è, di conseguenza, ovvia: “Alziamo barriere doganali, imponiamo dazi: proteggiamoci”.
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