Argentina, il sindacato dei lavoratori della concia è disperato: “Viviamo una crisi come quella degli anni ‘30”

Gli effetti sulla filiera argentina della pelle dello choc liberista imposto dalla presidenza Macri sono trasversali. Ne soffrono le aziende, strette tra crisi del consumo domestico e costi crescenti di gestione: “Per le piccole e medie imprese è una situazione drammatica: molte provano ad affrontarla, ma altrettante chiudono”. E ne soffrono i lavoratori: tra il 2015 e il 2018 il numero degli addetti è passato da 18.000 a 12.000, mentre “ce ne sono altre migliaia che soffrono per la riduzione dell’orario di lavoro, l’assenza di straordinari e il ritardo dei pagamenti”. Marcelo Cappiello, segretario generale del sindacato dei lavoratori della concia argentina (SECEIC), intervistato da Canal Abierto, dipinge uno scenario a tinte fosche dell’industria: il mix disposto dalla Casa Rosada di apertura contemporanea sia alle esportazioni che alle importazioni sta trasformando il tessuto manifatturiero del Paese. Secondo Cappiello, l’Argentina da Paese produttore di beni a valore aggiunto sta tornando ad essere produttore di materia prima: “Non siamo esportatori di pelle – lamenta –, ma di scarpe. Il macrismo ha portato a una “reprimarizzazione” dell’economia come mai visto prima”. Anzi, forse un riferimento c’è: “L’unico parallelo storico possibile è con la Década Infama (gli anni di crisi economico-istituzionali seguiti al colpo di stato del 1930, ndr), quando esportavamo lana e importavamo pullover”.

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