Il risparmio di almeno 100 milioni di sterline di costi è la pietra angolare del piano di rilancio di Burberry. Il gruppo inglese della moda è ancora nel mezzo del programma di rilancio ideato da Marco Gobbetti: il +1% a parità di perimetro comunicato nell’ultima nota trimestrale è in questo senso un segnale confortante. Sarebbe allora un peccato se subentrasse altro a rovinare i piani. Ed è per questo che dagli uffici finanziari di Burberry è trapelata una certa preoccupazione, raccolta dal The Times, per l’ipotesi del ripristino di dazi doganali in seguito a Brexit: per il gruppo, che con l’Unione Europea ha stretti legami per le forniture di materiali e prodotti lavorati, significherebbe un aggravio dei costi per “decine di milioni di sterline”, con inevitabili ripercussioni sul design e sullo sviluppo del prodotto.
L’anatema di Adidas e l’appello di BFC
Non è solo Burberry a esprimere preoccupazione all’idea che il Regno Unito, dal prossimo marzo, esca dall’Unione Europea senza un accordo sulle relazioni commerciali. Parlando con CNBC, il ceo di Adidas, Kasper Rorsted, ha auspicato che Theresa May (nella foto) indica un secondo referendum popolare per fare chiarezza: “Di Brexit si parla come se fosse una questione isolata – le sue parole –, ma siamo preoccupati perché avrebbe ripercussioni sugli equilibri dell’intero continente”. Ancora più ultimativo è il comunicato stampa del British Fashion Council, che d’altronde non si è mai speso per Brexit. Chiedendo a Downing Street l’indizione di una nuova consultazione popolare, argomenta che in uno “scenario economico già incerto, il no deal avrebbe conseguenze dure sul settore”.
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