Brexit, mancano 10 giorni al giorno fatidico: il fashion UK si dispera per il dazio al 12%, made in Italy alla finestra

“Questa Brexit non può che finir male”. Si può riassumere così l’intervento di UK Fashion and Textile Association, l’associazione che raccoglie le aziende del tessile-abbigliamento di Londra. Ormai al 29 marzo, giorno fatidico in cui l’uscita del Regno Unito dall’UE da “promessa” si trasforma in realtà, manca un soffio. E il modo in cui Londra si relazionerà con il Vecchio Continente è ancora un enorme punto interrogativo. Il rischio concreto di una Brexit no deal “è ritrovarsi un dazio sulle importazioni tra il 6% e il 12%”, lamenta UKFA, un balzello che metterà fuori gioco molte delle piccole e medie imprese britanniche: “Questa Brexit, con il suo contesto di incertezze, avrà un impatto negativo sulle nostre imprese: una confusione di cui già paghiamo le conseguenze”.
Posizioni avverse
Il fashion system britannico si è da sempre detto contrario all’uscita dall’UE, già da quando era solo un’ipotesi da sottoporre a voto referendario. Parlando con The Indipendent, la stilista-pasionaria Katherine Hamnett ha spiegato che uno scenario post-Brexit di relazioni e movimenti ridotti con il Continente sarebbe “catastrofico” per la moda inglese. Perché? Inficerebbe lo scambio di persone e cose: “Circa il 75% delle componenti necessarie alla moda sono d’importazione – spiega –. Brexit comporterebbe ritardi che sono fatali per la reputazione di un brand”.
Prospettive italiche
Il made in Italy, in attesa di scoprire che cosa accadrà a Westminster, rimane alla finestra. Intanto, per la calzatura nostrana il Regno Unito è il quinto mercato di riferimento. Nel 2017 l’Italia ha esportato nel Regno Unito 12,8 milioni di paia di calzature per un valore di poco superiore ai 600 milioni, più o meno la stessa quantità del 2013 ma con un fatturato del 26% più alto. Un trend che, secondo i dati di Assocalzaturifici, è proseguito nei primi 10 mesi del 2018: +1,6% in quantità e +6,5 in valore. Veneto e Toscana sono le regioni più esposte con circa 160 milioni a testa. L’export italiano di pelli, spiega invece una nota UNIC – Concerie Italiane, nel periodo gennaio-ottobre 2018 ha incontrato serie difficoltà: la variazione su base annua è del -15%. “In decisa ripresa, però, le bovine da suola e a pieno spessore – recita la nota –. Frenano invece le bovine spaccate, incluse le croste. Stabili i vitelli box-calf”.

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