La manifattura italiana della moda ha serie ragioni per essere preoccupata. E dai vertici di Confindustria Moda invitano a non sottovalutare l’aumento di richieste di CIG, prima spia dello stato di salute del comparto. Già, perché a margine della presentazione della prossima fashion week meneghina, sono stati resi noti i risultati economici della filiera. Che suonano positivi. “Attenzione, però – ammonisce dalle colonne de Il Giornale Ercole Botto Poala, presidente di Confindustria Moda –: la crescita fa riferimento al fatturato, e non agli utili. Ben prima del conflitto russo‐ucraino segnalavamo il preoccupante aumento dei costi dell’energia e delle materie prime”. Allarme che, come denunciato da UNIC – Concerie Italiane, si è fatto ancora più grave.
Le conseguenze del caro gas
La crisi energetica toglie alle aziende manifatturiere la possibilità di programmare e lavorare. “Una volta ricevuto un ordine, questo non viene lavorato subito, ma magari a distanza di qualche mese – spiega Botto Poala (in foto, Imagoeconomica) –. Ma il prezzo dell’energia, e quindi il costo del prodotto concordato al momento dell’ordine, non è lo stesso, ma nettamente aumentato. Il costo della produzione diventa così insostenibile e alle aziende conviene chiudere piuttosto che produrre”.
Un segnale da non sottovalutare
Se le aziende non sono più nelle condizioni di produrre, si innesca una crisi generalizzata. “Abbiamo registrato un aumento importante della richiesta di cassa integrazione delle aziende – riporta il presidente di Confindustria Moda –. Molte di loro, già provate dalla pandemia, adesso non riescono più a rialzarsi”. È un peccato: perché il rincaro energetico stronca un periodo che altrimenti sarebbe di crescita: “Nel 2021 abbiamo visto che il mondo, che si stava riprendendo anche se solo in parte dalla pandemia, aveva voglia di made in Italy – conclude –. Abbiamo l’opportunità di crescere e tornare a correre, a dobbiamo essere messi nelle condizioni di farlo. Questa speculazione sui prezzi dell’energia, decisa da algoritmi, si gioca sulla pelle delle aziende ma soprattutto delle persone”.
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