Ci volevano le sprangate per parlare del caporalato a Prato

Ci volevano le sprangate per parlare del caporalato a Prato

Dopo il pestaggio di operai e sindacalisti in picchettaggio davanti alla pelletteria cinese Lin Weidong di Seano (Prato) la Procura, riportano le cronache, si è messa al lavoro. E ci è voluta l’escalation di violenza, notiamo noi, affinché la Giustizia si muovesse sul caporalato a Prato, mentre PM e Prefettura di Milano hanno già aperto fascicoli di inchiesta e un tavolo sulla filiera lombarda (nonché sottoposto ad amministrazione giudiziaria diverse e prestigiose società dell’alta moda). Da Prato arrivano le notizie su uno scenario torbido che getta ombre anche oltre i confini della provincia.

L’aggressione

È a La Stampa che Sarah Caudiero, coordinatrice di Sudd Cobas, racconta i dettagli dell’aggressione subita dai lavoratori di Lin Weidong. “In quel momento c’erano in tutto otto persone – riporta l’articolo –. Due lavoratori e due sindacalisti erano a dormire nelle tende, due lavoratori e altri due dei nostri erano qui ai tavolini per il turno sveglia”. E poi? “La squadraccia di picchiatori è arrivata alle spalle. Scavalcando una rete. Era buio pesto – continua –. Per prima cosa hanno urlato: Fermi tutti, polizia!. Poi hanno iniziato a picchiare con dei bastoni. Avevano felpe scure, cappucci in testa. Prima di scappare, hanno detto: La prossima volta vi spariamo. Erano italiani. Leggera inflessione dialettale toscana”.

Il caporalato a Prato su base etnica

Lo slogan degli operai in sciopero è 8×5: chiedono, cioè, di lavorare otto ore al giorno, cinque giorni alla settimana. Come da contratto. Già, perché gli stipendi suonano nella norma (1.500 euro circa al mese), ma sono corrisposti a fronte di 84 ore a settimana di impiego. Perché, chiede il Corriere della Sera a uno dei lavoratori, si vedono protestare pakistani e bangladesi, e non i cinesi? Perché i primi hanno bisogno del contratto per essere regolari in Italia, è la risposta, mentre i secondi “sono molto più legati al capo e pagati meglio, non hanno documenti”. C’è una questione etnica. “Anche gli italiani, talvolta impiegati nelle aree amministrative delle ditte cinesi (conoscono la lingua, le leggi, il territorio) – scrive il CorrSera –, godono di stipendi e orari molto diversi da quelli di africani, afgani e pachistani”.

 

 

Intanto, a Campi Bisenzio

Intanto, a proposito di caporalato, a Cambi Bisenzio (Firenze) è in corso la protesta dei lavoratori di due pelletterie nella filiera di Montblanc che la griffe ha tagliato, ricorda la Stampa. Secondo la maison del gruppo Richemont, il taglio è avvenuto proprio perché “l’appaltatore non ha rispettato gli standard delineati nel nostro codice di condotta per i fornitori”. Secondo la rappresentanza dei lavoratori, al contrario, perché quando le ditte hanno cominciato a contrattualizzare i dipendenti, con relativo lievitare dei costi, Montblanc avrebbe preferito farne a meno. In una filiera sempre più sotto stress, le controversie si incendiano.

Foto da Facebook

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