L’architettura dei prezzi, che ha fin qui penalizzato il retail cinese, cambierà: le griffe potranno abbassare i prezzi negli store della Repubblica Popolare, avvicinandoli a quelli dei Paesi europei. Di conseguenza, sarà riassorbito il fenomeno dei daigou, cioè degli agenti abusivi del mercato parallelo. Ma sarà riscritta anche la geografia degli acquisti di lusso da parte dei cinesi, motore del settore (loro la quota del 32% dello shopping globale) con preferenza per le spese all’estero (solo l’8% entro i confini patri). Dal primo luglio Pechino ha abbassato i dazi su 1.149 prodotti, inclusi beni di lusso. La mossa, come riporta Milano Finanza, rientra in un più ampio piano governativo per elevare la qualità della vita: a Milano Finanza, Filippo Fasulo (coordinatore scientifico del Centro Studi per l’Impresa della Fondazione Italia Cina) spiega che non si tratta di una mossa “unilaterale o estemporanea”, ma il compimento di un piano “con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita dei cittadini offrendo loro prodotti di alto livello”. La fisionomia del mercato cinese, non sarà più la stessa. In prima battuta a trarne maggior vantaggio “saranno quelle aziende che hanno già un network in Cina”, dice Armando Brachini, vicepresidente di Altagamma. Lo stesso Brachini, che suggerisce di aspettare il prossimo autunno per valutare l’impatto della liberalizzazione, ritiene anche che il lusso guadagnerà un allargamento della base di consumatori in Cina, mentre una certa quota di acquisti all’estero continuerà per il maggiore assortimento delle boutique europee e il valore culturale, per certi clienti cinesi.
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