Circa 80.000 persone obbligate al lavoro forzato in 27 fabbriche cinesi nella supply chain di 83 brand internazionali. L’accusa arriva dall’australiana ASPI. Il think thank di studi geopolitici (Australian Strategic Policy Institute) sostiene che tra il 2017 e il 2019 una quota di deportati uiguri, la minoranza musulmana e turcofona della provincia dello Xinjiang, sia stata costretta ai lavori forzati nell’ambito del programma di rieducazione cui li obbliga Pechino.
Uiguri al lavoro forzato
Sono 27, dicevamo, le fabbriche che hanno impiegato gli uiguri. Distribuite in nove province, operano nella moda, nell’automotive e nell’elettronica. Tra i marchi riportati da ASPI, ci sono Adidas, Calvin Klein, Zara, Cerruti 1881, Puma e Jack & Jones, per fare qualche esempio. Alcuni brand, si può leggere nel documento, hanno risposto di aver già avviato le pratiche per l’interruzione dei rapporti con le fabbriche cinesi incriminate entro il 2020. Altri hanno spiegato di non essere loro, ma i fornitori, in diretto rapporto con gli opifici-carcere. Di certo, ricorda ASPI, anche le griffe rischiano la “violazione delle leggi che vietano l’importazione di beni fabbricati con lavoro forzato”.
Come funziona
ASPI riporta l’esempio di un calzaturificio, in grado di fornire 7 milioni di paia di scarpe l’anno a Nike. È circondato da torri di guardia, filo spinato e presidi della security. Ci lavorano circa 600 uiguri e membri di altre minoranze, che di giorno sono in manovia e la sera partecipano a lezioni di cinese mandarino e di “training vocazionale” (per usare un eufemismo). Dal 2007 a oggi, sono stati complessivamente 9.800 le persone “rieducate” nella stessa fabbrica.
La risposta
Raggiunta da Washington Post, una portavoce di Nike ha spiegato: “Rispettiamo i diritti umani nella nostra supply chain e ci sforziamo sempre di condurre il business in modo etico e responsabile. Siamo impegnati a rispettare gli standard internazionali del lavoro a livello globale”. E i fornitori che poi si rivolgono a subappaltatori? A loro Nike vieta “severamente il ricorso di qualsiasi tipo di lavoro detentivo, forzato, obbligato o incarcerato”. ASPI augura che i brand avviino severe due diligence lungo la propria supply chain, con audit di soggetti indipendenti.
Foto dal report ASPI. Clicca qui per leggere il documento
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