“Un Paese più giusto e inclusivo, che s’incammini per la strada maestra del lavoro”. “Un Paese più semplice ed efficiente, nel quale la crescita economica sia possibile aumentando la qualità e le competenze delle persone”. E l’orgoglio di essere un Paese il cui “l’export è cresciuto negli ultimi tre anni fino a raggiungere nel 2017 la cifra record di 540 miliardi di euro. Di questi, 430, l’80%, vengono dalla manifattura, grazie anche a provvedimenti come Job Act, Industria 4.0, Piano Made in Italy”. È un appello forte e deciso quello di Vincenzo Boccia, presidente di Confindustria (nella foto), che questa mattina ha tenuto a Roma la sua Assemblea Annuale. Un appello che ha ribadito la “visione del futuro” dell’industria italiana che, in modo critico, non “può e non deve fare a meno dell’Europa” e che si pone il dubbio che “chi governerà continui a scommettere su un’Italia posizionata tra le maggiori economie del mondo”. Alla presenza del premier uscente Paolo Gentiloni, di alcuni ministri e prima di un intervento quasi rabbioso dell’attuale ministro alla Sviluppo Economico Carlo Calenda, Boccia ha toccato tutti i fronti nevralgici dell’impresa italiana, dal rapporto con banche e accesso al credito alla formazione (per “colmare il gap che esiste tra la domanda di quasi 300.000 tecnici specializzati e l’offerta mancante”); dalla necessità di costruire scenari competitivi inclusivi al rischio che “se passa l’idea che a ogni cambio di maggioranza politica si torna indietro su scelte strategiche per la nostra economia, è la nostra credibilità che mettiamo in discussione”. Ricordando che “siamo un Paese privo di materie prime, che la nostra vocazione è la trasformazione, che la nostra ricchezza sta nell’esportazione”, Boccia sottolinea la propensione innovativa italiana (“Le imprese hanno introdotto molte innovazioni digitali, ma abbiamo ancora un grande divario tra un 20% di imprese eccellenti e un 60% potenzialmente pronte a fare il salto di qualità, ma ancora in una fase di transizione”) e chiude richiamando i colleghi a una precisa responsabilità: “L’impresa cambia se gli imprenditori cambiano, accettando di aprire il capitale, assumere competenze innovative, rischiare”. (lf)
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