La notizia è dello scorso 7 ottobre e riguarda il sequestro di una conceria a Solofra. È, come si può ben immaginare, una di quelle notizie che: A) non vorremmo mai leggere, né commentare; B) contribuiscono a dimostrare come un esempio negativo, per un settore industriale, possa far più danni (d’immagine e reputazione, in primis) di 500, 1000 o 1500 casi positivi. Un cattivo esempio sul quale ci sono alcune cose da dire.
Il sequestro di una conceria a Solofra
Prima di tutto, la cronaca. I Carabinieri del Nucleo Forestale di Serino hanno sequestrato una conceria di Solofra nell’ambito di una serie di controlli – come scrive Ansa – “disposti per il contrasto all’inquinamento del fiume Sarno”. Secondo i Carabinieri, la conceria “scaricava nella rete fognaria i reflui prodotti dal ciclo di lavorazione”. Non solo. “L’imprenditore quarantenne” alla guida dell’azienda (che è stato denunciato) “non aveva mai acquisito l’Autorizzazione Unica Ambientale. Nel corso dei controlli è anche emerso che l’azienda emetteva in atmosfera senza la prevista autorizzazione”. Una brutta storia, che intacca malamente tutto il lavoro che nel distretto solofrano si fa per evolvere la gestione dell’impatto ambientale.
Cose da dire
Alla base del sequestro, dunque, ci sarebbe l’assenza di tutta una serie di autorizzazioni che non sarebbero state richieste dopo un passaggio di proprietà. Un’omissione burocratica estremamente rilevante. Una “leggerezza” che spicca ancor di più per un altro motivo. La conceria in questione aveva raggiunto il primo step del protocollo ambientale rilasciato da un noto istituto internazionale di valutazione della sostenibilità. Possibile che in sede di verifica non se ne siano accorti?
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