I danni del protezionismo: in Zimbabwe sgravi alle aziende in crisi per la tassa sull’export pelli

Il governo dello Zimbabwe, a due anni dall’introduzione della tassa sull’export di pelli (75 centesimi di dollari per chilo di prodotto) è costretto a un primo passo indietro. Con nota in Gazzettino Ufficiale lo scorso 21 ottobre, il Paese africano accorda lo sgravio fiscale a 7 società esportatrici, che insieme rappresenterebbero, stando ai valori del 2012, una quota del 30% del fatturato estero dello Zimbabwe (1500 tonnellate per 10 milioni di dollari). Senza esenzione dalla controversa imposta, le aziende sarebbero condannate al fallimento. Lo Zimbabwe ha adottato il dazio protezionista nel 2014. Negli ultimi tempi hanno imposto la stessa misura per la pelle grezza anche Russia e Azerbaigian. Nelle intenzioni governative, imporre un dazio sull’export serve a limitare, pur senza vietarla esplicitamente, la vendita della materia prima verso mercati stranieri a vantaggio della manifattura nazionale. Le cose, come dimostra il caso dello Zimbabwe, non sono così semplici. A due anni di distanza dall’adozione della tassa solo Cold Storage Company, la compagnia statale della filiera della carne, dichiara risultati positivi: “Abbiamo decuplicato i volumi”. Per le aziende private, come il Livestock and Meat Advisory Council del Paese africano denuncia dal 2014, è invece una gabella insostenibile, perché né le concerie locali hanno la forza finanziaria per assorbire tutta la produzione nazionale di pelle, né i macelli possono permettersi di pagare le imprese della pelle per conciare i grezzi per conto loro. Risultato: crisi per tutti. (rp)

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