Il totale della richiesta supera i 500 milioni di risarcimento. Perché il conflitto tra Dolce & Gabbana e Diet Prada, il blog che nell’autunno 2018 animò lo scandalo sul presunto pregiudizio anti-cinese della maison italiana del lusso, non è ancora terminato. Si apprende ora che D&G nel 2019 ha presentato querela per diffamazione presso il tribunale di Milano.
500 milioni di risarcimento
Secondo Associated Press, da D&G chiedono circa 450 milioni di euro per le spese necessarie a ripristinare il prestigio del marchio, insieme a 3 milioni di euro di danni e 1 milione per Stefano Gabbana, cui sono stati attribuiti commenti di stampo sinofobo in chat private. D&G avrebbe chiesto, inoltre, 8,6 milioni di euro per la cancellazione dello spettacolo di Shanghai, dovuta propri agli echi dello scoop di Diet Prada, insieme ad altri 8,6 milioni di euro per le spese di personale. D&G, infine, valuta 89,6 milioni di euro per le vendite in Asia perse tra novembre 2018 e marzo 2019 a causa dello scandalo.
La difesa
La coda giudiziaria della vicenda si annuncia lunga. Susan Scafidi, direttrice del Fashion Law Institute della Fordham Law School, ha assunto il coordinamento della difesa di Tony Liu e Lindsay Schuyler, fondatori di Diet Prada. In prima battuta, Liu e Schuyler, che hanno presentato una memoria difensiva, chiedono tramite lo studio AMSL Avvocati che non sia Milano sede del dibattimento: la redazione del blog ha sede negli Stati Uniti, mentre il danno commerciale è avvenuto in Cina. A loro modo di vedere, la vicenda ha contorni politici: “La causa minaccia la nostra libertà d’espressione”, scrivono su Instagram. “L’intero caso – ribatte Scafidi – è un modo per mettere a tacere Diet Prada”.
L’incidente cinese
Che per D&G l’incidente cinese sia stato un trauma non è un mistero. Nel novembre 2019, quando i due fondatori del brand chiesero scusa al pubblico asiatico mettendo in video la propria afflizione, si ventilava l’ipotesi che dall’episodio derivassero danni per 400 milioni. A novembre 2020, il CEO Alfonso Dolce confessava che, malgrado il mercato cinese fosse in recupero, non era ancora tornato ai livelli pre-crisi. La questione, dunque, non può considerarsi chiusa. Anzi.
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