Tanti soldi, spesi male. A lanciare l’accusa è EABC (East African Business Council) che ha elaborato un rapporto in cui emerge come, in Africa, i Paesi di quella particolare zona stiano investendo in modo inadeguato il proprio denaro per lo sviluppo di progetti pellettieri e calzaturieri. Il documento evidenzia che il tentativo di aggiungere valore in realtà non risolve e nemmeno affronta “i colli di bottiglia che bloccano lo sviluppo”.
Tanti soldi, spesi male
I vertici di EABC hanno redatto il rapporto in collaborazione con l’agenzia tedesca GIZ. Il documento Building the Leather, Fruits and Vegetable value chains in the East African Community analizza gli investimenti degli Stati della Comunità dell’Africa orientale in agricoltura e nella realizzazione di prodotti in pelle. EABC l’ha presentato l’8 ottobre 2020 e Sylvester Kimeu, componente del team che ha lavorato al documento, ha evidenziato che la regione possiede una buona base di risorse per la produzione di pelli, con oltre 188,1 milioni di capi di bestiame (bovini, ovini e caprini). Ma, nonostante l’attuale domanda mensile di circa 600.000 paia di scarpe industriali (sicurezza, protezione, industria) la produzione è al massimo a 60.000.
I nodi
Il problema principale, come ha sottolineato il CEO di EABC Peter Mutuku Mathuki, è che l’Africa importa ancora molte calzature usate o realizzate in materiale sintetico. “Il principale vincolo alla crescita del settore delle calzature in pelle dipende dalla domanda limitata del mercato”. Il tutto, “a causa dell’elevata presenza di calzature usate importate e di scarpe sintetiche o di plastica. Le quali hanno un prezzo molto inferiore ai costi di produzione dei produttori locali – dice Kimeu a newtimes.co.rw -. La bassa qualità delle pelli è un altro problema e rappresenta il secondo fattore più difficile per la competitività nelle catene del valore”. Attualmente, ha osservato, quasi il 40% delle pelli grezze acquistate dalle concerie è rifiutato a causa di “enormi difetti”.
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