Un meccanismo articolato, costruito per escludere dal mercato altre aziende del settore ed evadere il fisco. Sono le accuse che i militari del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria della Guardia di Finanza di Arezzo hanno rivolto a un calzaturificio italiano, uno inglese e alcuni tarzisti cinesi operanti nel distretto toscano. Secondo le indagini, l’azienda inglese avrebbe operato in Italia producendo all’interno degli stabilimenti della ditta locale, con sede in provincia di Arezzo, ma in totale evasione d’imposta e in maniera occulta attraverso il sistema della “stabile organizzazione”. “Sostanzialmente, la ditta italiana, nota al fisco, avrebbe messo a disposizione i suoi laboratori all’azienda inglese che la utilizzava come sede, senza però pagare le imposte dovute”. Nella produzione per conto terzi che la ditta italiana svolgeva per quella inglese, parte della lavorazione sarebbe stata affidata nel corso del tempo a diverse ditte individuali gestite da cittadini cinesi, situate tra Firenze e Arezzo. Tali aziende, attive prevalentemente per brevi periodi di tempo, non avrebbero mai presentato le dichiarazioni dei redditi o comunque non avrebbero indicato parte consistenti dei ricavi, omettendo anche di versare le ritenute previdenziali ed assistenziali ai propri dipendenti. Il presunto schema fraudolento avrebbe creato effetti distorsivi e danni alla libera e sana concorrenza tra imprese, consentendo al committente un rilevante ed indebito risparmio di costi-imposte. In conclusione l’azienda italiana avrebbe fatto produrre scarpe di alta gamma (poste in vendita al dettaglio anche a 800 – 1.000 euro al paio) alle ditte cinesi, “facendo risultare successivamente e fittiziamente la vendita all’estero, quando invece la merce rimaneva in Italia nella disponibilità della società inglese, sconosciuta al fisco”.
Evasione calzaturiera tra Arezzo e la Gran Bretagna: coinvolti due calzaturifici e alcuni terzisti cinesi
