Pelletterie, formalmente fiorentine e made in Italy, registrate alla Camera di Commercio da imprenditori che a stento hanno dichiarato di essere nati in Cina, al massimo aggiungono la regione di provenienza. Dormitori fatiscenti annessi alle fabbriche, così come fatiscenti sono le cucine in cui si preparavano (illecitamente) i pasti. Non solo: le porte di emergenza sono state trovate chiuse dall’esterno, gli estintori sono assenti mentre, invece, sono presenti pistole scacciacani per intimidire gli operai. Gli operai, appunto: lavoratori irregolari, per la maggiore cinesi o comunque asiatici, molti pagati in nero, in diversi sprovvisti di regolare permesso di soggiorno. Tutti impiegati a produrre borse e articoli di pelletteria per i brand del lusso. È il bilancio delle ispezioni condotte dalla Guardia di Finanza di Firenze, a capo di indagini che hanno coinvolto l’Ispettorato del Lavoro e l’Azienda Sanitaria Locale, in 9 pelletterie tra Campi Bisenzio e l’hinterland fiorentino. Ad accompagnare le Fiamme Gialle i giornalisti de Il Sole 24 Ore, che hanno potuto rendere conto delle condizioni di lavoro in aziende della filiera di fornitura dei marchi d’alta gamma.
Burberry, Prada e gli altri
“Il Gruppo Prada dichiara di interrompere immediatamente qualsiasi rapporto con le aziende che non rispettano o che a loro volta si avvalgono di fornitori che non rispettano non solo la legislazione vigente ma anche gli impegni assunti nei confronti di Prada”. Così recita la risposta della maison guidata da Miuccia Prada e Patrizio Bertelli a Il Sole 24 Ore. Allo stesso modo annunciano l’interruzione di ogni relazione Burberry e Tivoli Group, la società che produce per conto del brand inglese. Promettono provvedimenti Gianni Chiarini e Cristinaeffe. Nessuna delle case di moda è coinvolta negli illeciti dei fornitori o dei subfornitori.
Il labirinto
Come sintetizza il quotidiano, il blitz della Guardia di Finanza ha portato a sanzioni per 120.000 euro, oltre alla chiusura in via temporanea di alcune delle pelletterie interessate. Per riaprire, è bastato il pagamento di una sanzione di 2.000 euro. Il fenomeno, dunque, è tutt’altro che risolto. Non è difficile che le società cinesi siano liquidate e poi riaperte con altri titolari. Così come rimane labirintica la struttura della rete di forniture nella pelletteria: c’è il caso di un’azienda, racconta il quotidiano, che ha “una dozzina di fornitori” solo a Firenze, di cui nessuno italiano. “Tre di loro denunciano un solo dipendente e questo spalanca le porte ad una domanda semplice semplice – chiosa Il Sole –: ma come si può produrre con un unico operaio? O anche solo con due o tre, come risulta dalle visure?”.
Immagini dal servizio de Il Sole 24 Ore