Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump ha riassunto la faccenda su Twitter così: “Le trattative con la Cina stanno andando molto bene!”, punto esclamativo incluso. USA e Cina, i due grandi protagonisti della guerra commerciale che ha stravolto le relazioni internazionali nel 2018, dialogano per stemperare i toni, fin qui molto aspri, della contesa. USHSLA, l’associazione dei trader statunitensi, sottolinea come Washington abbia effettivamente sospeso l’innalzamento dei dazi (programmato per lo scorso primo gennaio) dal 10% al 25% sull’import di un paniere di beni cinesi, tra cui anche molti in pelle. Un gesto di galanteria che, però, conosce una scadenza: se entro il primo marzo la Repubblica Popolare non fornirà le risposte attese, la tassa al 25% diverrà effettiva. Pechino, intanto, non rinuncia ai suoi dazi di ritorsione, ma il ministero delle Finanze ha annunciato il taglio alle tariffe imposte su 700 prodotti made in the US, tra cui anche alcune tipologie di pelli finite o semilavorate. Un’inchiesta condotta a fine dicembre da South China Morning Post, intanto, raccontava come le autorità di frontiera della Repubblica Popolare abbiano trovato anche modi indiretti per complicare la vita agli operatori commerciali statunitensi. Quali? Le cosiddette “barriere doganali”, cioè il pacchetto di controlli, ispezioni e lungaggini burocratiche che può rendere d’emblée molto complesso, se non impossibile, il transito delle merci. Tra i prodotti statunitense vittime delle rinnovate attenzioni compare anche la pelle di vitello.
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