I cinesi scatenano la guerra culturale, ma contro i brand europei

I cinesi scatenano la guerra culturale, ma contro i brand europei

In risposta alla trade war statunitense i cinesi hanno scatenato su TikTok una campagna di guerrilla marketing dalle proporzioni che nessuno si aspettava. Mettendo nel bersaglio, però, la filiera della moda tout court: i “Chinese manufacturers” (come da hashtag) non picchiano solo sulla controparte USA, ma soprattutto contro i brand europei. Che succede? Negli ultimi giorni TikTok è inondata di post, diventati virali e tracimati sugli altri social, in cui sedicenti imprenditori cinesi che affermano di produrre per le griffe più importanti, “svelano i retroscena” sulla supply chain dell’altissima moda. E offrono imitazioni a prezzi ben più bassi. Come accade online, pochi si sono soffermati su quanto le informazioni che i veicolano questi i video siano veritiere o fake. La campagna sta alimentando l’indignazione nei confronti del lusso, che ha già tanti problemi da risolvere.

La campagna

In Cina si è scatenata, dicevamo, un’ondata di video di natura nazionalistica. La campagna da un lato tratta con toni sprezzanti i brand del lusso: il debunking sostiene, in estrema sintesi, che questi vendono a prezzi esorbitanti articoli made in China a costi industriali che non giustificano tali listini. Dall’altro la campagna intende far emergere la qualità della manifattura cinese: giacché tutto il lusso si realizza (più o meno segretamente) in Cina, è il sottotesto, tanto vale bypassare i marchi occidentali e fare shopping direttamente alla fonte.

I video più aggressivi

Ci sono anche video più aggressivi. Superano spesso il confine della diffamazione e sono pubblicati da account che poi vengono disabilitati per riapparire con un altro nickname. Alcuni dicono di voler smascherare la truffa che c’è dietro al lusso: denuncerebbero borse prodotte in Cina e spedite in Europa per poi applicarvi le etichette made in Italy o made in France. In questo caso l’intento autopromozionale è esplicito: i produttori, mentre mettono in discussione l’artigianalità del lusso europeo, offrono senza remore imitazioni a prezzo scontato.

 

 

Il danno reputazionale

“Il numero dei video, la loro specificità e la tempistica della loro pubblicazione lasciano poco spazio a dubbi – chiosa NSS –. Sono una massiccia campagna di guerrilla marketing con un duplice obiettivo: dimostrare che il mondo non può funzionare senza la produzione cinese e minare ulteriormente la fiducia dei consumatori occidentali”. “Dubito che queste affermazioni siano legittime”, afferma a Business of Fashion Luca Solca, analista di Bernstein. Ma è una magra consolazione nell’epoca delle post-verità. “Tuttavia – ha aggiunto –, potrebbero rappresentare un rischio reputazionale”.

Contro i brand europei

La risposta cinese ai dazi di Trump si abbatte sul lusso europeo, quando già è alle prese con tante difficoltà. Quando, cioè, deve difendere il proprio prestigio, contestato per i continui aumenti dei prezzi ed eroso dalle inchieste del Tribunale di Milano sul caporalato. Inoltre, il mercato cinese, già di per sé asfittico e spinto verso i consumi nazionali, subisce un altro duro colpo, le cui ripercussioni, tutte ancora da quantificare, saranno comunque negative. Vale la pena soffermarsi sul fatto che promuovendo la propria produzione e le proprie aziende in maniera così aggressiva, la Cina è talmente consapevole della propria forza che è disposta a correre il rischio di perdere clienti europei e nord americani, da oggi molto più guardinghi quando si tratterà di stipulare contratti con fornitori asiatici. (mv)

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