Reshoring in Italia? Per ora soltanto a parole, perché nella realtà dei fatti non c’è. Lo afferma SACE nel report intitolato “Il fashion tornerà di moda?”. Al suo interno, un sondaggio realizzato da Confindustria e RE4IT a fine 2021 rivela che tre quarti delle imprese interpellate non ha chiuso impianti di produzione all’estero negli ultimi 3 anni. E non lo farà nemmeno quest’anno.
Il reshoring in Italia
“Alcune prime rilevazioni suggeriscono che non si sta assistendo a una vera e propria rilocazione manifatturiera. Le imprese maggiormente internazionalizzate sembrano, infatti, aver reagito meglio alla pandemia” scrive SACE nel suo report. La conferma di questa affermazione arriva dal Rapporto Scenari Industriali, datato novembre 2021, redatto da Confindustria. Morale: il reshoring è un fenomeno ampiamente dibattuto, ma che non ha ancora trovato sostenitori concreti.
Soltanto a parole
Il 73,5% delle imprese italiane di moda intervistate non ha chiuso impianti all’estero nell’ultimo triennio e non intende farlo nel 2022. Solo il 2,8% potrebbe farlo quest’anno, mentre solo il 3,5% ha effettivamente attuato il reshoring in Italia. Stessi numeri sul fronte della fornitura. Tre imprese su quattro non hanno ridotto il numero di fornitori esteri e non intendono farlo. Appena il 5,8% li ha sostituiti con fornitori italiani.
Perché non succede?
SACE elenca gli ostacoli al reshoring. Primo: non è semplice riorganizzare la supply chain in poco tempo. Secondo: la riorganizzazione comporta costi, poiché si perdono gli investimenti fatti nella fase di internazionalizzazione e se ne generano di nuovi per la rilocazione. Non solo: il made in Italy ha un maggior costo del lavoro e una limitata disponibilità di materie prime. E, aggiungiamo noi, sconta anche la mancanza di manodopera specializzata. (mv)
Foto di repertorio
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