Da 300 paia di scarpe al giorno all’attuale volume produttivo di 20 a causa dell'”iper-inflazione”. È la parabola di Cordivani di Caracas (Venezuela), calzaturificio con 55 anni di storia, oggi controllato da Giuseppe Cordivani, figlio del fondatore. Stando al Wall Street Journal, a mettere in difficoltà l’azienda, così come tante alte, è un tasso di inflazione che ha raggiunto e superato il 2.000%. Boom inflazionistico che ancora non conosce il termine: le stime lo danno in crescita, anche oltre il 6.000% secondo alcuni analisti, per non parlare dell’ipotesi avanzata dal Fondo Monetario Internazionale secondo cui entro l’anno dovrebbe raggiungere un tasso del 10 milioni per cento. Le difficoltà del Paese iniziano nel 2013 come conseguenza della crisi finanziaria mondiale del 2007-2008 e della caduta dei prezzi del petrolio grezzo su cui si basano gran parte delle attività del Venezuela. È iniziata quindi una decrescita industriale molto rapida, che ha portato disoccupazione e iperinflazione a causa della quale la Banca centrale ha venduto le proprie riserve valutarie e il Bolivar fuerte, la moneta locale, ha perso rapidamente valore con la conseguente immissione di nuove banconote con tagli superiori. L’intero settore manifatturiero del Paese è in grave crisi, la domanda interna è ai minimi, così le fabbriche lavorano al 20% del loro potenziale. “Nessuno batte l’iperinflazione, nessuno” commenta rammaricato Cordivani al quotidiano statunitense: “Lavoriamo solo per cercare di coprire le spese” aggiunge. Paralizzato è anche il settore dell’auto, dove gli operai ormai si lamentano di avere poco lavoro e nel frattempo gli investitori stranieri fuggono, mentre le importazioni sono tagliate. Una dinamica che sta spingendo Cordivani verso il baratro: il capitale si sta esaurendo, tra poco gli stipendi non potranno più essere pagati e le materia prima si esaurirà. La serranda, a quel punto, dovrà essere abbassata per sempre. (art)
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