Uscire dall’angolo con una fisionomia diversa: più “valore aggiunto” e un occhio fisso su New York. È la ricetta che Gilberto Tomazoni, COO globale di JBS, ha spiegato il 7 dicembre durante l’incontro annuale con gli investitori e gli analisti. Innanzitutto lo spostamento dell’ago della bilancia dalla filiera della carne a quella alimentare in senso più ampio. La multinazionale brasiliana si vuole trasformare da “azienda di proteine animali” a “piattaforma globale e diversificata di prodotti alimentari”, ha spiegato il manager. Lo scoglio da aggirare è quello di Lava Jato, scandalo giudiziario che ha coinvolto gli stessi vertici di JBS. E che ha portato, tra le conseguenze, alla posticipazione della quotazione della divisione USA (quella sotto il cui cappello ricadono le attività extra-brasiliane del gruppo) a Wall Street. L’IPO alla Borsa di New York, ha spiegato Tomazoni, rimane comunque nel mirino di JBS. Mentre la multinazionale getta le basi del proprio futuro, gli allevatori brasiliani rispondono a quelli irlandesi, espressisi contro l’ipotesi di un accordo per l’import agevolato di carne da Rio in Europa. CNA, associazione degli imprenditori agricoli del Paese verde-oro, definisce “ipocrita” l’accusa dei colleghi europei, secondo i quali (vedo lo scandalo Carne Fraca) il prodotto sudamericano non rispetterebbe i parametri di sicurezza europei. Perché? Anche la zootecnia del Vecchio Continente ha conosciuto i suoi “scandali”.
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