La doppia morale dell’Indonesia: protezionista sulle pelli grezze, globalizzata per l’export di scarpe

Il dazio sull’export di pelli grezze o semilavorate, al momento, è del 15%. Ma l’associazione indonesiana dei Conciatori (APKI), che per bocca del suo presidente lamenta che lavora solo al 40% del proprio potenziale produttivo, chiede al Governo di Giacarta di innalzare ancora di più la gabella. La barriera tariffaria, erta per favorire l’approvvigionamento delle concerie locali sulla materia prima nazionale, non sarebbe efficace a causa dell’export di contrabbando di pelli grezze. L’APKI, in ogni caso, anziché maggiori controlli nei porti chiede ancora più protezionismo. La globalizzazione non vive una stagione di grande popolarità: i casi di Russia, Zimbabwe e Azerbaigian (per citare alcuni dei Paesi che hanno limitato o chiuso l’export di materia prima conciaria) lo dimostrano. La circostanza stride, però, col fatto che gli stessi Governi non disdegnino gli interscambi con l’estero quando fa loro comodo. Torniamo all’Indonesia: Giacarta da anni si sta ritagliando un ruolo di primo piano nell’industria calzaturiera. Secondo l’ultima edizione del World Footwear Yearbook, nel 2015 con circa 1 miliardo di paia fabbricato è stato il quarto produttore mondiale, detenendo il 4,4% della torta. Secondo l’associazione indonesiana dei calzaturieri (Aprisindo), la capacità produttiva del Paese è sfruttata solo al 50-60%, e quindi i margini di crescita del giro d’affari sarebbero ancora esponenziali. La chiave dell’eventuale successo futuro, però, passa dall’export. Manco a dirlo. (rp)

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