Applicava una tassazione all’import di merce di origine cinese a dir poco più conveniente di quella di altri Paesi europei: per i prodotti tessili, ad esempio, di 91 centesimi al chilo, contro i 17,61 tedeschi, i 18 italiani e i 17 francesi. Per di più, sottostimava volutamente il peso dei container in transito nei suoi porti. Tutto, pur di diventare il Paese prediletto di smistamento della moda (abbigliamento e calzature) made in China. È la condotta che, secondo l’ufficio antifrode dell’Unione Europea (OLAF), il Regno Unito avrebbe messo in pratica per tre anni. Mentre il mancato gettito di 3,2 miliardi di euro di IVA causato ai partner europei è andato perso, Bruxelles, adesso, chiede a Londra il rimborso di 2 miliardi di euro. Secondo la ricostruzione fornita da OLAF e raccontata oggi da Repubblica, gli UK avrebbero deciso di soppiantare la Slovacchia (richiamata da UE) nel ruolo di porta per il Vecchio Continente della merce cinese. Nei numeri sta la proporzione della faccenda: se nel 2013 passava da Londra il 36% dell’export della Repubblica Popolare (325 milioni di chili di merce), nel 2016 si è arrivati al 79% (646 milioni). L’obiettivo di Londra non era tanto quello di accaparrarsi il prelievo doganale (che rimane solo al 20% al Paese che lo riscuote), quanto piuttosto quello di rivitalizzare “a costo zero” le attività portuali e di logistica del regno insulare. Più volte richiamata da Bruxelles, l’Inghilterra avrebbe insistito nella pratica. La conclusione delle indagini di OLAF (durate due anni) arriva quando stanno per iniziare le trattative per Brexit (e potrebbero sembrare anche una forma di ritorsione). Secondo la stampa, l’UE potrebbe scalare la sanzione da 2 miliardi di euro dai fondi che deve ancora destinare a Londra. (mv/rp)
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