Il Coronavirus è un “trigger”, cioè l’evento scatenante che spinge le aziende a “un ripensamento più strutturale delle catene di fornitura internazionali”. E questa per il made in Italy è sicuramente una notizia positiva. Ma per intercettare il reshoring servono politiche industriali, ammonisce Luciano Fratocchi. Il docente, ordinario di Ingegneria Economico Gestionale all’Università dell’Aquilfa, è il coordinatore del pool di accademici che ha firmato lo studio “Il reshoring manifatturiero ai tempi di Covid-19. Trend e scenari per il sistema economico italiano”. È lui ad ammonire che i risultati (possibili) del fenomeno non saranno frutto del caso, o della fortuna che dir si voglia, ma l’esito di precise strategie a tutti i livelli.
Intercettare il reshoring
Qualcosa si muove. Ma, d’altronde, si muoveva già da prima della pandemia: “Il fenomeno del reshoring ha avuto inizio fin dagli anni ’90. I casi attribuibili al settore delle calzature in pelle sono posizionati, in particolare, dal 2008”, spiega Fratocchi a La Conceria n. 9. Adesso siamo di fronte, dicevamo, al trigger del Coronavirus: al sistema, in generale, e alle aziende, in particolare, non basta aspettare gli affari. Bisogna creare le condizioni propizie per accoglierli. “Nell’ottica di operazioni di filiera, diventa fondamentale il ruolo delle politiche industriali sia a livello nazionale che europeo – chiarisce –. Altrettanto importanti possono essere iniziative concertate a livello di filiera o tra distretti industriali”.
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