La battaglia continua. È fallito, infatti, il tentativo di raggiungere un accordo extragiudiziale tra Mario Valentino e Valentino. Ora gli avvocati delle parti, non intendendo riprovarci, chiedono al Tribunale che si giunga a una prima decisione. Dopo di che, capiranno se e come (ri)attivarsi.
Il casus belli
Dopo 40 anni di pace, a giugno 2019, le ostilità tra le due imprese quasi omonime sono riprese. Valentino ha denunciato Mario Valentino (e il licenziatario Yarch Capital) per aver disatteso l’accordo di “non belligeranza” siglato nel 1979. L’obiettivo era quello di non generare confusione tra i consumatori e stabiliva nomi e sigle che dovevano contraddistinguere i prodotti di entrambi i brand. La denuncia di Valentino è arrivata dopo che il Tribunale di Milano ha sentenziato che Mario Valentino aveva messo in vendita “numerosi modelli di borse in modo non consentito ai sensi dell’accordo di coesistenza”.
La battaglia continua
La causa è pendente anche negli USA. The Fashion Law rivela che (in un rapporto presentato alla Corte Distrettuale competente in California), gli avvocati di entrambi i marchi hanno depositato una memoria. In essa si legge che i tentativi per raggiungere un accordo transattivo non hanno portato a una risoluzione extragiudiziale. I legali credono, così, che “un secondo tentativo potrebbe essere produttivo dopo il completamento del briefing di giudizio sommario”. In altre parole, dopo che il Tribunale si sia pronunciato senza aver completato l’iter di un processo completo.
La posta in gioco
Secondo la stessa testata specializzata, la posta in gioco sarebbe piuttosto alta. Riguarderebbe, in pratica, il diritto di usare il nome Valentino su tutti i “leather goods”, che rappresentano una grossa fetta di ricavi per entrambi. Per rispettare l’accordo del 1979 la griffe Valentino marca “Valentino Garavani” (e non solo “Valentino”) le sue borse in pelle e le iconiche calzature Rockstud. (mv)
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