Domenica sì, domenica no. La nuova proposta di legge avanzata dal Movimento 5 Stelle relativa alla chiusura domenicale e nei giorni festivi degli esercizi commerciali divide l’opinione pubblica. Se da un lato i sindacati accolgono favorevolmente la proposta, dall’altro i vertici di Confcommercio hanno auspicato una “regolamentazione minima e sobria”, e Renato Borghi, presidente di Federazione Moda Italia, ribadisce il concetto per cui “il tempo non può essere al servizio del lavoro e dell’economia, senza contare che le piccole aziende familiari si trovano a non avere più limiti all’autosfruttamento per reggere la concorrenza”. Allo stesso tempo Confesercenti si è detta favorevole alla proposta, sostenendo attraverso il proprio segretario Mauro Bussoni che “la liberalizzazione ha causato la chiusura di migliaia di negozi, che non potevano sostenere un ritmo di opening a ciclo continuo”. La stretta annunciata dal governo, al vaglio della Commissione attività produttive della Camera, prevede però una stretta anche sull’ecommerce. La modifica alle liberalizzazioni sugli orari di apertura, introdotte nel 2011 dal governo Monti, includerebbe una misura per bloccare gli ordini online nei fine settimana. Concretamente la proposta, firmata dal deputato pentastellato Davide Crippa, vorrebbe impedire la conclusione dell’ordine interrompendo a un certo punto il processo. Immediata la reazione di Netcomm, il consorzio italiano del commercio digitale, il cui presidente Roberto Liscia ha espresso il proprio “disappunto”, sostenendo che “si creerebbe un ulteriore ostacolo non solo allo sviluppo del settore retail ma anche all’intero sistema economico italiano”. Resta comunque difficile immaginare di poter realmente riuscire a incatenare un mercato rapido, interconnesso e in continua attività come quello digitale. Sapendo poi che secondo le stime di Federdistribuzione sono ormai 19 milioni gli italiani che fanno acquisti nei negozi fisici la domenica siamo sicuri che la loro chiusura comporterebbe più vantaggi che svantaggi? Soprattutto quando, come denunciano i dati di Assocalzaturifici e Assopellettieri, il mercato italiano per il prodotto moda stenta a ripartire e avrebbe bisogno, al contrario, di stimoli e non di disincentivi. (art)
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