Kitson è un’insegna statunitense della moda e del lifestyle. Preparava per il primo giugno la completa riapertura del suo store losangelino in Robertson Boulevard. Dopo il lockdown, il tanto atteso ritorno alla normalità. Peccato che nel weekend subito precedente lo stesso store sia stato preso d’assalto dai rioter che infiammano gli States: “Hanno rubato merce per 300.000 dollari”, commenta il titolare con WWD. È l’amara Fase 2 del lusso. Che, nel faticoso percorso di riattivazione del retail in un mondo ancora condizionato dall’azione del Coronavirus, si trova a confrontarsi con due enormi turbolenze. La prima, dicevamo, riguarda gli Stati Uniti, dove, in seguito all’assassinio di George Floyd, le principali città si sono trasformate in teatro di proteste, scontri e violenze. Il secondo fronte di instabilità, invece, arriva da Hong Kong. Dove, sono riprese le tensioni con la Cina.
L’amara Fase 2 del lusso
Los Angeles, che abbiamo già citato. Ma anche Chicago, New York e Pittsburgh, tra le altre. Nell’ultimo weekend di maggio ci sono state poche eccezioni. Nella maggior parte delle città si sono visti cortei di protesta, in molte a questi hanno fatto seguito tumulti. Per la distribuzione, moda ma non solo, il corollario sono stati i saccheggi e gli atti di vandalismo. Come riporta ancora WWD, i negozi del lusso della California, dopo aver assistito all’escalation della violenza in altre città, hanno deciso preventivamente di barricarsi. Invece del preventivato ritorno al commercio, dunque, si è assistito a scenari da Parigi sotto la sferza dei gilet jaunes. Le fortificazioni, però, non sono bastate. A Los Angeles un gruppo di giovani ha divelto senza tanti problemi la barriera di legno issata a protezione di Gucci, mentre Alexander McQueen veniva saccheggiato. I rivoltosi non hanno fatto distinzioni di segmento di mercato: si sono scatenati sull’alto di gamma come sul mass market. E così lo stesso destino è toccato a Flight Club, tempio delle sneakers high-end, e ad Adidas. Le conseguenze sono ancora da calcolare. L’impatto, nel pieno di una stagione già complessa, non sarà lieve.
Le turbolenze di Hong Kong
Già nell’autunno del 2019 gli analisti concordavano sul ridimensionamento del valore commerciale di Hong Kong. La lunghissima stagione di tensioni con il governo cinese avrebbe comportato per l’ex protettorato britannico la fine dell’identità di “metropoli del lusso”. Ciononostante, ancora ai primi di aprile il Jing Daily poteva almeno chiedersi se il retail di Hong Kong avesse chance di tornare ai livelli pre-crisi: la metropoli si stava dimostrando tra le più efficienti, in Asia e nel mondo, nel gestire la curva dei contagi. Il mese di maggio, però, è stato segnato dal ritorno delle proteste di piazza contro le ingerenze di Pechino sulla sfera di autonomia della città. Le turbolenze sociali non solo minano le possibilità che la distribuzione locale torni a macinare affari, ma, inserendosi nei problematici rapporti tra le cancellerie di Cina e Stati Uniti, ha dirette influenze sulla Borsa, titoli del lusso inclusi. Il contesto, nell’anno delle elezioni per la Casa Bianca, non promette niente di buono.
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