Che cosa si cela dietro il paravento, a volte addirittura l’alibi, dell’etichetta made in Italy. E di che cosa c’è bisogno per non disperderne il valore, oggi che le inchieste della Procura di Milano sul caporalato e la crisi del tessuto toscano portano a galla i coni d’ombra e le zone grigie della filiera. Ricorderemo il 2024 come l’anno della grande crisi, di consumi e quindi industriale, della moda. E come l’anno che ha costretto ad affrontare in maniera sistemica i problemi del tessuto manifatturiero. Ne parliamo sul numero di novembre del mensile La Conceria, dal titolo “Ma quale made in Italy”.
L’etichetta made in Italy
Insight, con i pareri di imprenditori e sindacalisti, dalla Toscana e dalle Marche. L’intervista all’avvocatessa Ilaria Ramoni che, insieme al dottore commercialista Marco Mistò, per 10 mesi ha curato l’amministrazione giudiziaria di Alviero Martini SpA. Una conversazione con Marco Luppa (CEO di Conceria del Chienti) sugli errori che le PMI nostrane devono assolutamente evitare in questa congiuntura. E una riflessione, parallela ma attinente, sui limiti del modo in cui si comunica la concia marocchina. Il numero di novembre del mensile La Conceria ospita anche servizi sulle applicazioni dell’intelligenza artificiale nella filiera della pelle, sull’EUDR e su Alessandro Rizzo, designer fondatore di Demiurgo.
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