“Venderemo cara la pelle”

“Venderemo cara la pelle”

Venderemo Cara la Pelle. Quello de La Conceria n. 10 è un titolo che va letto in due modi. Il primo è letterale. La spinta inflazionistica da più di due anni (dall’esplosione della pandemia, per scegliere un riferimento temporale facile) alza tutti i costi operativi delle imprese della manifattura moda. Per questo alle concerie, così come a calzaturifici e pelletterie, non resta alternativa che il ritocco dei listini. Con tutti i rischi che ne conseguono, visto che intorno al mercato fashion (fatta eccezione dei grandi brand del lusso) soffiano venti di crisi. Il secondo modo di leggere il titolo è, invece, motivazionale. In alcuni comparti industriali (come la produzione della carta e del vetro) il caro gas ha già imposto la chiusura delle imprese, frustrate dalla compressione (o dall’azzeramento) degli utili. Le aziende della filiera della pelle non hanno intenzione di arrendersi.

 

 

Le testimonianze degli addetti ai lavori

Nel numero 10 del nostro magazine (dal titolo “Venderemo cara la pelle”) ascoltiamo, innanzitutto, i conciatori. Che ci raccontano un punto di vista condiviso e trasversale: la congiuntura impone di alzare i prezzi di vendita. Anche alla luce di un dato di fatto: tutti gli investimenti in macchinari 4.0 e in energia alternativa degli ultimi anni, per quanto portino in dono l’efficientamento della produzione, non bastano a compensare la decuplicazione dei costi. Parliamo, poi, con i fornitori di strumenti e tecnologia, a proposito di innovazione. Nonché con produttori di scarpe e borse, chiamati ad assorbire gli aumenti della pelle e a riportarli al proprio pubblico.

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