Sarebbe ingiusto sovradimensionare lo stop di mercato delle cosiddette alternative vegetali alla carne. Ma, intanto, c’è stato: e qualcosa vorrà pur dire. La rassegna stampa della settimana ci regala spunti interessanti sul tema del rapporto tra i prodotti animali e la pratica della sostenibilità. Dai media nordamericani arriva un editoriale (non sono mai troppi) che apre gli occhi ai lettori sulla vera natura dei materiali vegani. Mentre dalle colonne di El Paìs Bruno Oberle, biologo svizzero e direttore generale di IUCN (Unione Internazionale per la Conservazione della Natura), spiega come si fa la sostenibilità.
Consigli di lettura:
- “C’è chi spende 300 dollari per un accessorio o un capo d’abbigliamento che, a conti fatti, è di una sorta di plastica”. Monique Keiran dalla testata canadese Times Colonist mette in chiaro le cose: sotto l’etichetta “vegan leather” non c’è pelle, tanto meno un materiale green come vorrebbe una certa pubblicistica.
- La sostenibilità è un affare difficile. E quelli di IUCN non amano le banalizzazioni: non sono di quelli che se la cavano con proposte semplici giusto per guadagnarsi la simpatia del pubblico. Lo dimostra (ancora una volta) l’intervista di Oberle.
- Qualcosa non va con le alternative vegetali alla carne: non vendono quanto sognavano i produttori. Sicuramente c’entrerà il modo in cui la pandemia condiziona la possibilità stessa di funzionamento degli impianti di produzione. Ma Food Business News ipotizza ci sia dell’altro: troppi player si stanno giocando un mercato più piccolo del previsto.
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