Così insegno la concia preistorica: Theresa Emmerich Kamper

Così insegno la concia preistorica: Theresa Emmerich Kamper

Il suo nome è Theresa Emmerich Kamper. Nativa del Wyoming, si è laureata in Archeologia Sperimentale per poi specializzarsi in tecnologie di concia preistorica e storica dei pellami fino alla realizzazione di manufatti. A questo abbina la sua passione per la vita primitiva e ha partecipato anche ad alcuni reality per dimostrare come si viveva durante l’Età della Pietra. In mezzo ai boschi organizza corsi su come conciare la pelle degli animali selvatici. Quando si pensa o si dice che “la pelle accompagna l’evoluzione della razza umana fin dagli albori”, ecco, lei ne rappresenta la dimostrazione vivente. Potevamo non intervistarla?

Così insegno la concia preistorica

Qual è lo scopo della sua attività di ricerca?

L’obiettivo principale è identificare le diverse tecnologie di concia preistorica basandomi sulle differenze macroscopiche e microscopiche delle caratteristiche visive. Quello secondario è l’educazione del pubblico e la divulgazione scientifica sulle tecnologie di lavorazione della pelle preistorica.

Perché questa scelta?

Concio le pelli da quando avevo 11 anni: è una passione che dura da una vita! Ho intrapreso un Master in Archeologia Sperimentale all’Università di Exeter, nel Regno Unito. Lì ho deciso di specializzarmi nell’analisi della pelle. Ho notato che gli studi su oggetti archeologici in pelle erano pochi. E che alcuni erano stati scritti da chi aveva poca dimestichezza sui processi di concia utilizzati nella preistoria, Per esempio la concia a olio, a bagno e, anche, la concia vegetale.

La percezione della pelle

Come viene percepita la pelle dalle persone con cui si confronta?

Lavoro spesso nei musei all’aperto facendo dimostrazioni e divulgazione scientifica sulla lavorazione della pelle in epoca preistorica. La maggior parte del pubblico è affascinata dal processo. Quando pensano alla pelle pensano all’alta moda, alle giacche, alle scarpe, alle borse. Così, spesso si stupiscono nel vedere che, con la stessa pelle grezza e variando solo la sua lavorazione, è possibile ricavare lenzuola, contenitori per bere e per cucinare.

Cosa genera la maggior sorpresa nelle persone?

Quando spiego che posso conciare 20 pelli con lo stesso tempo che mi serve per produrre un pezzo di tessuto da fibre di ortica o di lino. Oggi, la pelle è vista come un articolo di lusso, ma quando è stata prodotta per la prima volta era probabilmente il contrario. Il tessuto era una risorsa rara mentre la pelle veniva usata per oggetti di uso quotidiano.

 

 

Il futuro della pelle

Qual è il futuro della pelle?

La pelle avrà sempre un posto nella nostra cultura. È ciò che ha permesso alla nostra specie di migrare fuori dai climi temperati, di esplorare e stabilirsi in ambienti dove sarebbe stato impossibile sopravvivere senza la protezione fornita dalla pelliccia e dalla pelle. Fa parte della storia dell’uomo tanto quanto la produzione di strumenti di pietra e il fuoco.

Oggi però il contesto è diverso…

Chiaro: bisogna enfatizzare sostenibilità e uso delle risorse locali. Per esempio, ora più che mai, noto che si sta creando una nicchia per i produttori artigianali di pelle su piccola scala.

Cosa pensa dei materiali “alternativi” e “vegan”?

Non ho nulla contro di loro. Però, il fatto che non usino materie prime animali non li rende ecologici per definizione. Non c’è modo di aggirare il fatto che un animale muore e, quindi, produce una pelle. Pelle che, oggi, è possibile conciare in modo ecologico. E poi: gli articoli che produco devono soddisfare una serie di criteri, uno dei quali è l’accuratezza storica, qualcosa che un’alternativa alla pelle difficilmente può raggiungere.

Lo stupore e l’Italia

In merito alla sua esperienza museale, quali sono gli oggetti in pelle che l’hanno realmente stupita?

Ho avuto il privilegio di lavorare con alcuni oggetti in pelle incredibili! Recentemente ho analizzato una borsa per il formaggio realizzata in pelle sciita che si trova al Museo dell’Hemitage di San Pietroburgo, in Russia, Aveva un coperchio realizzato da un mosaico di pellicce alcune delle quali tinte di blu. È un pezzo d’arte incredibile, ma è anche un oggetto completamente funzionale.

Un altro?

Un contenitore etnografico dell’Artico nordamericano. Era fatto con un’incredibile varietà di prodotti animali e diversi tipi di concia. L’uso di una tale varietà di risorse di origine animale mette davvero in evidenza la bella etica di usare tutto ciò che l’ambiente circostante può fornire. Combinandolo per realizzare un oggetto che è contemporaneamente bello e utile.

Che rapporto ha con l’Italia?

Non ho lavorato molto spesso in Italia, ma spero di farlo in futuro. Ho svolto una serie di dimostrazioni e una presentazione per il Paleofestival di La Spezia, nel 2018. L’anno dopo ho presentato una ricerca a Trento per la conferenza Experimental Archaeology, organizzata ogni due anni da EXARC. E in futuro potrei tenere workshop o dimostrazioni incentrati sulle diverse tecnologie di concia associate all’abbigliamento e all’attrezzatura di Oetzi. (mv)

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