Sabato De Sarno sotto continuo scrutinio, Virginie Viard che traballa al pari del potenziale erede Hedi Slimane, Daniel Lee che non replica in Burberry quanto di buono fatto in Bottega Veneta, Alessandro Michele che scalza Pierpaolo Piccioli alla guida di Valentino per replicare il boom di Gucci. Il mercato è molto selettivo e il ruolo degli stilisti è centrale: i brand non possono permettersi di sbagliare il posizionamento e quindi il design. Ma su Riflessioni, la rubrica culturale del mensile La Conceria (“Naufragati nella profondità dei magazzini”), affrontiamo il cortocircuito che si scatena quando il direttore creativo è al contempo così centrale, ma così effimero negli equilibri dell’industria. Una posizione che corre lungo “il sottile confine tra ammirazione e culto della personalità”. Un dilemma che si riflette a tutti i livelli, fino a quello editoriale.
Il ruolo degli stilisti
Un bell’esempio della strana relazione tra prestigio del designer e risultati del brand viene dal divorzio tra Piccioli e Valentino. “Quando il 22 marzo si è appresa la notizia, il fashion system è stato colto alla sprovvista – si legge nella rubrica –. Sono presto iniziati con un riflesso pavloviano i tanti pettegolezzi da modamercato. Un rumore di fondo che ha fatto passare quasi inosservate le parole con le quali l’account personale di Valentino Garavani, fondatore dell’omonima griffe, ha salutato Piccioli: Sei l’unico designer che conosco che non ha provato a distorcere i codici di un grande marchio imponendone di nuovi e la megalomania di un ego ridicolo”. Tutto questo mentre a De Sarno si imputa eccessiva timidezza: quali sono le aspettative, allora?
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