Nel mondo dell’alta moda, Bernard Arnault è il primo a smarcarsi dalla generale fascinazione per gli NFT e il metaverso. Un mondo (virtuale) dove in molti si lanciano attirati dall’opportunità di business e, per certi versi, dall’urgenza di presidiare un nuovo spazio di comunicazione e contatto con la clientela. Ma il metaverso, con i suoi non fungible tokens e le sue criptovalute, è una scommessa. Che si basa su un modello tecnologico ed economico ancora da rodare. E, soprattutto, su un assunto da verificare: che si può creare scarsità dove non ce n’è.
Creare scarsità
Internet delle origini e, ancor di più, il web 2.0 sono uno spazio senza confini. Un’infrastruttura digitale dove tutto è estendibile e replicabile all’infinito. Un ecosistema che ha rivoluzionato le nostre vite ma dove, da un punto di vista economico, alla lunga sono usciti vincitori i grandi monopolisti, come Google e Facebook. Ecco, il metaverso con la univoca tracciabilità dei dati, possibile grazie alla blockchain, intende porre un vincolo all’infinitezza del web. E decentralizzarlo, ovvero sottrarlo al dominio dei monopolisti. Perché mentre qualsiasi immagine o video online è oggi duplicabile, i brand con gli NFT (meglio ancora quelli wearable dagli avatar) vendono un bene limitato. Commerciano un file di cui non è possibile fare una copia, perché quella copia sarebbe semplicemente un’imitazione senza valore.
Ma, c’è un ma
Insomma, la tecnologia è avanguardista, ma l’idea non è molto originale, a ben pensarci. Il metaverso si propone come un mondo alternativo dove vivere in immersione esperienze nuove. Ok. Ma soprattutto vuole essere un’internet dove non è possibile fare ctrl+c e ctrl+v. Una scommessa su cui grava una grossa incognita. Come ha ben spiegato Paul Brody di EY: “La scarsità del metaverso non è reale”. Proprio per questo, superate le speculazioni, è difficile pensare di creare asset su fondamenta così deboli. “Se la scarsità è arbitraria, il valore creato non può essere lo stesso” di quello che si crea con la scarsità del mondo reale.
Le incognite
Secondo Bloomberg Intelligence, il mercato nel metaverso avrà un potenziale da 800 miliardi di dollari entro il 2024. Il dato non riguarda solo le attività moda, chiaramente, ma tutto quello che il nuovo virtuale offre (incluso il settore “immobiliare”, paradossalmente), come illustra L Catterton. Le incognite sono tante, dalla possibilità di successo di un’infrastruttura che non si sviluppa intorno ai consumatori, ma in una logica top-to-down. Fino a quelle di sicurezza, visto che non è ancora chiaro chi e come userà la mole di dati che ciascun utente lascerà nel nuovo web.
I due finali
L’incognita più grande resta la scarsità. Secondo l’esperto Ryan Broderick, “questo tentativo di rimpicciolire artificialmente internet può finire solo in due modi – riporta The Submarine –. Il primo è che forse siamo a pochi secondi da un crollo economico globale alimentato dalle criptovalute. È estremamente possibile che in questo momento i finance bros stiano su Telegram a riversare un sacco di denaro in startup nel metaverso che non andranno da nessuna parte”. E il secondo? “Una piattaforma del metaverso basata sulla blockchain potrebbe raccogliere abbastanza soldi per iniziare a ottenere contratti esclusivi per prodotti di consumo o di intrattenimento. Potrebbe crescere come Facebook, usando l’effetto rete per fare pressione su tutti gli altri affinché lo utilizzino. Oppure potrebbe semplicemente finire come Twitter”. Insomma, anche il metaverso sarà monopolizzato da pochi, con buona pace della decentralizzazione.
Nella foto, Mark Zuckerberg mentre illustra Meta.com
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