Se non per la chiarezza delle idee del lettore, almeno per fedeltà alla storia della testata, che ha sempre tenuto alla scelta delle parole e alla qualità (nonché alla correttezza) delle espressioni. È una lettera/appello quella che Mike Redwood, giornalista e autore inglese di lungo corso, nonché membro del Leather Conservation Centre di Northampton, rivolge a Financial Times. Responsabile di aver pubblicato un articolo dove ricorreva l’erronea ed equivoca definizione di “vegan leather” per un materiale alternativo alla pelle.
Le parole hanno un valore
Nel suo intervento, che vi invitiamo a leggere, Redwood ricorda cosa sia esattamente la pelle (e come il diritto e la linguistica britannica la classifichino in maniera chiara). Ma, ancor di più, chiama la redazione del Financial Times a rispettare i lettori e la propria storia. “Nel campo dei materiali aggettivi come vegano, se intesi come eufemismo per sintetico o comunque a forte base di derivati del petrolio, fanno più danni che altro – spiega in sintesi –. Oltretutto, aggiungere nella stessa espressione pelle significa attribuire al materiale qualità di durabilità e pregio che difficilmente ha”. Discorsi che gli operatori della filiera della concia conoscono bene. Ma sui quali chi è esterno rischia di fare confusione (soprattutto quando tratto in inganno dai concorrenti veg). Ecco, negli uffici di Financial Times stiano attenti, perché “chi parla male, pensa male e vive male”, come diceva Nanni Moretti. E, nel loro caso, è un peccato.
Leggi anche: