La percezione del fast fashion, le sue conseguenze in Africa

La percezione del fast fashion, le sue conseguenze in Africa

Be’, pare che la percezione del fast fashion presso i consumatori under 40 stia calando. Lo sostiene una ricerca demoscopica condotta dall’istituto di ricerca di Credit Suisse. E non è male, visto che spesso, quando si parla di impatto ambientale della moda, le polemiche maggiori si concentrano sul lusso, ma è quella veloce ad avere le pratiche più discutibili. I problemi non si pongono solo in fase di produzione, ma anche e soprattutto di smaltimento, come già dimostrano i deserti cileni trasformati in discariche di indumenti di poco conto. La rassegna stampa della settimana offre uno spunto molto interessante sul fronte africano. E sulle filiere intercontinentali della moda.

 

Consigli di lettura:

  • Partiamo dalla percezione del fast fashion. Secondo un’indagine di Credit Suisse su un campione di 10.000 under 40, quasi la metà del pubblico ritiene il segmento poco sostenibile e, soprattutto, considera di ridurne la quota di acquisti.
  • Il problema, dicevamo, non si pone solo in fase di produzione. Ma anche in quella di smaltimento. Un’inchiesta giornalistica ha dimostrato che calzature e capi di abbigliamento smaltiti tramite raccolta differenziata in Germania alimentano un commercio di capi usati in Europa dell’Est e Africa. Un commercio non solo poco trasparente, ma che annichilisce le filiere produttive dei Paesi (come Kenya e Ucraina) dove il mercato domestico si trasforma in un enorme mercato delle pulci. Esattamente quello che denunciano le industrie tunisine della pelle e della scarpa: l’import di prodotti usati inaridisce le vendite e abbatte i prezzi.
  • A proposito di relazioni intercontinentali, fast fashion o lusso che sia, è certo che le filiere si stanno accorciando. Ne parla Emanuele Pedrotti (McKinsey) con il Foglio della Moda: “Si è creato un gap temporale tra fabbrica e mercato a cui gli imprenditori stanno cercando di reagire. Il ripensamento della catena del valore è cominciato già prima della pandemia”.

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