La rassegna stampa della settimana ci regala spunti interessanti sulla zootecnia. Sulla filiera, cioè, a monte di quella della concia. Da un lato si registrano segnali inquietanti sulla “carne in laboratorio”. O “carne coltivata”. Oppure “in vitro”. O comunque si voglia definire il ramo dei prodotti con proteine animali che non derivano direttamente da capi animali, ma dalla lavorazione in bioreattori di matrici cellulari animali. Dall’altro alcuni produttori di alternative alla carne fanno fatica sul mercato. Intanto, a proposito di animali veri (e non finti o surrogati), gli esperti invocano un approccio illuministico.
Consigli di lettura:
- Luigi Scordamaglia è consigliere delegato di Filiera Italia, CEO di Inalca e presidente di Assocarni. Quando Italia Oggi gli chiede un commento sui finanziamenti europei a startup della carne in laboratorio, risponde con una sonora stroncatura: “Ci opporremo sempre e comunque alla follia del cibo sintetico. Il rischio è che i nostri obiettivi di export siano vanificati dalle multinazionali del cibo sintetico. L’Europa dimostra di voler cancellare le filiere agroalimentari, i nostri allevamenti, il nostro indotto”.
- Ecco, UE ci mette i soldi. Ma intanto Beyond The Meat ha annunciato la revisione al ribasso dei risultati nel terzo trimestre dell’anno fiscale in corso. La società statunitense, tra i leader dei produttori della carne “plant-based” (c’è pure questa), imputa la flessione a più fattori (Covid, logistica etc.). Tra questi, c’è anche il più ovvio: un calo della domanda. Vorrà dire qualcosa?
- Dalle colonne di Food Navigator, infine, arriva una riflessione tanto semplice quanto efficace. La zootecnia è un attività imprescindibile in gran parte del mondo. La svolta vegana, a quasi tutte le latitudini, è un’opzione affascinante solo per i ceti abbienti. A proposito di sostenibilità, dunque, l’obiettivo non deve essere ridurre il numero di animali allevati. Bensì lavorare sull’impatto ambientale degli allevamenti con macchinari e tecniche più green.
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