Prima che per la moda il Made in Italy diventi “un freno a mano”

Prima che per la moda il made in Italy diventi “un freno a mano”

L’etichetta del Made in Italy è diventata “un freno a mano” di cui i designer farebbero meglio a liberarsi. Certo, Paola Antonelli, che è responsabile del Dipartimento di Architettura, Design e Moda del MOMA di New York, con la Stampa parla di Made in Italy da una prospettiva leggermente diversa dalla nostra. Ma le sue riflessioni su un autocompiacimento che rischia di diventare alibi e limite allo sviluppo è da leggere con attenzione quando la filiera del Paese è alle prese con le inchieste lombarde sul caporalato e gli incidenti in Toscana. Riflessioni al centro del prossimo numero del mensile La Conceria, presto in distribuzione, dal titolo “Ma quale Made in Italy”.

Visti da New York

Se certe origini, di prodotto o di intelligenze, sono universalmente riconosciute come di qualità è grazie al merito storico. Un merito, va da sé, utile da usare a discapito degli altri. “Gli USA partono da un complesso di inferiorità – racconta Antonelli a proposito dei primi tempi a New York –: pareva che solo gli europei potessero firmare lo stile”. Sono quarti di nobiltà, però che per taluni si trasformano in alibi e che mandano in tilt il sistema. Per questo la curatrice ritiene il Made in Italy un “freno a mano tirato”: “L’etichetta, non certo la storia che c’è dietro”. Lo è nella selezione dei talenti: “L’Italia soffre di una strana sindrome per cui i giovani la spaventano. Ageismo al contrario – dice –. Sembra che per salvaguardare i mostri sacri non si possa accostare loro nuovi nomi”. Ma anche nelle dinamiche di filiera, aggiungiamo noi.

 

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Il prossimo mensile

Ricorderemo il 2024 come l’anno di una delle più veementi crisi del sistema della moda. E anche come quello in cui per la prima volta qualcuno (cioè la Procura di Milano) ha affrontato le zone grigie della filiera in maniera sistemica, obbligando a guardare in maniera diversa anche le notizie di cronaca provenienti da altri territori (la Toscana in primis). Perché anche nella moda l’etichetta tricolore è sinonimo di qualità. Ma anche nella moda, come raccontiamo sul numero di novembre del mensile La Conceria, i quarti di nobiltà si trasformano troppo facilmente in alibi: “Ma quale Made in Italy”.

Foto da Facebook

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