Ogni tanto in rassegna stampa ci si imbatte in pezzi sulla moda no-leather. In articolesse, cioè, che parlano dell’esigenza di un fashion che smetta di usare materiali di origine animale. O in interviste che magnificano stilisti e brand che hanno deciso di farlo. Gli ultimi due che abbiamo beccato sono stati pubblicati rispettivamente da la Repubblica e da Financial Times. E non ci possono lasciare indifferenti. Perché è vero che questi pezzi sulla moda no-leather il più delle volte servono solo a dare fiato alle bocche. Ma alla lunga, specie se arrivano da testate tanto prestigiose, condizionano l’opinione pubblica e legittimano scelte industriali a dir poco discutibili. Il caso Volvo sta lì a ricordarcelo.
Le due segnalazioni:
- Il primo pezzo, dicevamo, viene da Green & Blue de la Repubblica. L’autore considera talmente scontato che non si debbano usare prodotti in pelle (tanto meno in pelliccia, per carità, o altri prodotti animali) che nemmeno si prende la briga di sostenere l’affermazione con uno straccio di argomento. Basta una battuta: “Non c’è una sola buona ragione per utilizzare la pelle come accessorio di moda, a meno che non siate Crudelia Demon o il Megadirettore galattico di Fantozzi”. Si noti che l’articolo è riservato agli abbonati: mai come in questo caso reputiamo una fortuna che tra il grande pubblico e un contenuto del genere si frapponga il paywall;
- Il secondo pezzo, invece, è del Financial Times. E a nostro avviso è il più grave: può il grande quotidiano della comunità d’affari internazionale pubblicare con tanta leggerezza un editoriale del genere? In questo caso l’autrice prova a sostenere in qualche modo i suoi argomenti. Ad esempio, la giornalista non nega la circolarità dell’industria conciaria, che nobilita un sottoprodotto della zootecnia. Ma ha una tale avversione per il cuoio che a suo avviso è comunque più sostenibile gettare le pelli grezze in discarica, invece di trasformarle in un materiale per la moda. “In quanto vegana e amante degli animali – scrive –, provo orrore quando entro in uno showroom con file di borse e scarpe fatte della loro pelle”. Ecco, la frase è rivelatrice: da queste premesse, come possono essere le conclusioni serene e ragionevoli? Nella redazione del Financial Times, qualcuno se lo sarebbe dovuto chiedere.
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