La goccia che fa traboccare il vaso è il colpo d’occhio della sala d’attesa di un aeroporto. Le sedute, rivestite con un materiale che imita la pelle, sono rugose e crepate (in foto). Come spesso capita con i social, il post scaturisce da un’esperienza personale. Ma la cosa importante è che il tema si imponga all’opinione pubblica. Finalmente su LinkedIn si parla dei limiti, culturali e industriali, del materiale (chiamato maliziosamente) “vegan leather”. Perché il post-sfogo è diventato in breve virale, ponendo la business community del web nella condizione di dover affrontare il problema. I materiali alternativi, spesso presentati come migliori e più sostenibili, non lo sono.
Su LinkedIn si parla di pelle
“Le sedute non in pelle per un aeroporto sono la scelta peggiore – recita il post originale –. I materiali plastici venduti in alternativa hanno performance peggiori della pelle e generano più scarti e inquinamento. La dicitura vegan leather è una truffa del marketing”. La verità è un’altra: “Le aziende usano un materiale più economico e lo presentano come sostenibile – continua –. La pelle, invece, è circolare, perché è il recupero di uno scarto della zootecnia. Fino a quando nel mondo si consumerà carne, la pelle, utile, bella e durevole, rimane per il design l’opzione migliore”.
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