È notizia di questi giorni che Il diavolo veste Prada, film cult che ha portato la moda sul grande schermo, starebbe per tornare. Secondo Puck News e Variety, Disney starebbe lavorando al sequel dell’iconico film del 2006, quello in cui l’aspirante giornalista Andrea Sachs incappa nella redazione di Runway – Bibbia della moda, mentre tenta di far decollare la sua carriera. Non una redazione qualsiasi quindi, ma quella del giornale diretto dalla feroce Miranda Priestly, personaggio interpretato da Meryl Streep e ispirato ad Anna Wintour. L’editor-in-chief di Vogue America, cioè, dal 1988. I primi rumors hanno mandato in visibilio gli appassionati di moda, ma dopo quasi venti anni una domanda è doverosa. Ne avevamo davvero bisogno?
Da dove riprenderebbe
Il nuovo capitolo messo a punto dalla sceneggiatrice Aline Brosh McKenna e dalla produttrice Wendy Finerman ripartirebbe proprio da Miranda Priestly. La ritroviamo alla fine della carriera, mentre affronta la più profonda delle crisi dell’editoria in combutta (si vocifera) con Emily Charton, sua ex prima assistente nel frattempo diventata dirigente di un gruppo di lusso. A interpretare i ruoli ci sarebbero ancora una volta Meryl Streep ed Emily Blunt. Sarebbe incerta la partecipazione di Anne Hathaway, che non avrebbe ancora deciso se tornare a vestire i panni di Andrea Sachs, seconda assistente della Priestly che pur di diventare una giornalista accetta di non avere vita facile e partire dal nulla in una rivista di moda. In un’intervista di aprile a V Magazine, Hathaway era stata titubante su Il diavolo veste Prada 2, sottolineando l’enorme differenza tra il contesto del 2006 e quello attuale.
Perché è già troppo tardi (per la moda)
Il diavolo veste Prada ha avuto il merito di rendere popolare il circuito dell’alta moda, aumentandone l’appeal e svelando anche i lati negativi. In quasi venti anni, però, i giornali di moda hanno abdicato a raccontare il sistema, lasciando lo storytelling prima ai blogger e poi agli influencer. Questi, però, in tutta risposta hanno banalizzato il discorso, riducendo la moda a un contenuto brandizzato. Quello che è mancato è sicuramente il racconto culturale di un sistema che produce ricchezze e che si è digitalizzato velocemente (e a volte male). Il secondo capitolo della saga, tra l’altro, si trova costretto a glissare sulla posizione meno critica e più accondiscendente (per ragioni commerciali) che oggi si trovano ad avere i giornali patinati. Quello che non è cambiato è forse il ruolo di Anna Wintour: dal 2018 è direttrice a vita di Vogue e ha ancora il potere di influenzare le fashion week e decretare le sorti dei designer. Il problema, e forse è di questo che dovrebbe parlare il film, è che oggi il sistema economico non consente la nascita di nuove Priestly/Wintour. (dc)
Foto dal primo capitolo (Wikipedia)
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