Bene. Benissimo. Anche Washington Post si è accorto che dietro il proliferare di sigle come eco-friendly, vegan, bio, etico, sostenibile c’è (spesso e volentieri) solo fuffa. Ci fa piacere che arrivi a tale conclusione la redazione passata alla storia per il Watergate. Così come esultiamo quando leggiamo il particolare riferimento all’inconsistenza della pretesa superiorità delle alternative alla pelle. Noi de La Conceria registriamo sempre con piacere le prese di coscienza dei media mainstream. Perché a noi e alla nostra audience è chiaro cosa è sostenibile e cosa meno. Ma sono i grandi giornali ad avere la forza di formare la coscienza del pubblico.
Di cosa il Washington Post si è accorto
Dunque, la premessa è quella che conosciamo. I consumatori sono preoccupati per l’impatto ambientale dell’industria della moda e per questo i brand si producono in uno tsunami di etichette, slogan, proclami. Spesso greenwashing, come ben sappiamo. Ma Washington Post introduce anche una nuova categoria: il clearwashing. Che vuol dire? I marchi che si vogliono presentare come super-green sparano qualche informazione tecnica qua e là. Quelle che sembrano corroborare i claim commerciali e che, soprattutto, li facciano apparire trasparenti. Ma, in realtà, queste informazioni sono fumo negli occhi, non spiegano niente. “La pratica del clearwashing sottintende il messaggio ti daremo l’apparenza di informazioni ricche che alla fine non sono significative – afferma Cosette Joyner Martinez, professore del dipartimento di design dell’Oklahoma State University –. Ma fornire l’indirizzo di un fornitore in Cina non racconta nulla delle modalità di lavoro della fabbrica in questione”.
Il greenwashing per eccellenza
Ci fa piacere scoprire che quando la redattrice del Washington Post deve citare un caso per eccellenza di greenwashing, parla di vegan leather. “La pelle vegana (sic!) è diventata un’alternativa trendy alla pelle tradizionale – si legge nell’articolo –, ma è solo il rebranding della vecchia pelle sintetica o pelle di plastica. È sempre un materiale sintetico a base di combustibili fossili. È in gran parte realizzato in poliuretano o cloruro di polivinile, noto anche come PVC”. “Dal punto di vista della sostenibilità – conclude Sonali Diddi, professore associato della Colorado State University – sicuramente la pelle vegana non è sostenibile in alcun modo”.
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