C’è una parola sotto la quale si può racchiudere l’edizione numero 116 di Mipel, fiera internazionale degli accessori di pelletteria che inizia domani a Fieramilano Rho. Questa parola è “transizione”. Il salone, con le tante novità messe in cantiere a contorno e sostegno della sua dimensione commerciale, ha intrapreso un percorso di ridefinizione della propria identità. E quindi della sua necessità. Un work in progress che coincide con un’altra “transizione”: quella relativa alla sua guida. È questa, infatti, la prima edizione alla presidenza di Franco Gabbrielli (nella foto), che raccoglie il testimone da Riccardo Braccialini e mette subito in chiaro che “le cose da fare sono tante”.
Lasciamo che i giovani vengano a noi
Gabbrielli torna e ritorna su un imperativo strategico, immaginando l’immediato futuro di Mipel: i giovani. “L’obiettivo è spostare la nostra attenzione di loro, creando una commissione composta da designer giovani che dovranno darci idee nuove di come evolvere la fiera. Tutto cambia in modo velocissimo e sono loro che possono darci le risposte che cerchiamo, perché sono i giovani che possono davvero cambiare tutto e rendere Mipel una fiera che deve essere molto più contemporanea. Intanto, con varie iniziative come quella con RDS, abbiamo iniziato a farlo”.
Lasciamo che i migliori vengano in fiera
Non solo i giovani, spiega Gabbrielli, possono innescare l’upgrading di Mipel verso la sua dimensione 2.0. Serve accendere anche un altro interruttore. “Quello della selezione – continua il neompresidente Assopellettieri -: dobbiamo impegnarci a trovare aziende di livello ancora più alto: una bella fiera, del resto, è fatta dalle belle aziende che ci espongono”. Impresa non facile, perché il settore sconta una fase congiunturale complessa, dove i fronti critici creano apprensione e disequilibri.
Troviamo il modo di aiutare i piccoli
“La prospettiva attuale è eccezionale – ammette Gabbrielli -, malgrado esistano incredibili difficoltà per le piccole aziende di pelletteria. I dati, in questo senso, ci preoccupano. I grossi brand vanno fortissimo e investono in Italia. I piccoli no. C’è un problema di invecchiamento delle aziende”. Un invecchiamento generazionale e di approccio al mercato: “Tutto il modo di lavorare è cambiato e noi dobbiamo formare i nostri associati su come rinnovare il loro business”, dice Gabbrielli, concludendo con una metafora: “Se non capisce come tutto stia cambiando, finisci con continui a voler vendere macchine fotografiche, quando ci sono gli smartphone che fanno le foto…”.