Il bilancio e le parole chiave dell’edizione numero 60 di Obuv

Il bilancio e le parole chiave dell’edizione numero 60 di Obuv

Incertezza, prezzo e made in Italy sono le parole chiave che arrivano da Mosca. Oggi giorno di chiusura dell’edizione numero 60 del salone Obuv Mir Kozhi, iniziato martedì 12 marzo al quartiere fieristico Expocentre. Presenti oltre 100 marchi, la maggioranza italiani. La Russia sembra non sfuggire alle complesse dinamiche mondiali di mercato. A queste si aggiungono le difficoltà correlate al conflitto con l’Ucraina e alle conseguenti sanzioni commerciali. La fiera, quindi, è servita soprattutto a mantenere i rapporti tra i marchi italiani e la clientela locale.

L’edizione numero 60 di Obuv

Le difficoltà che le aziende italiane incontrano sul mercato mondiale della moda si amplificano in Russia. Sono quelle connesse alla guerra tra Mosca e Kiev e le incertezze su come potrebbe evolvere il conflitto. Il cambio (100 rubli per 1 euro), il problema di reperire valuta straniera e, in genere, di operare con i canali bancari occidentali rappresentano ulteriori ostacoli. Di fronte a questo scenario l’edizione numero 60 di Obuv ha mostrato anche qualche segnale positivo. “In termini di presenze non è stata una delle migliori edizioni. Ma per quanto ci riguarda è andata meglio di come ci aspettavamo, considerato il periodo e la situazione in generale. Il prezzo? I buyer lo guardano. Deve essere adeguato al prodotto”, commenta Roberto Gironacci, della pelletteria Gironacci.

 

 

Un occhio di riguardo

Secondo Roberta Gandolfi, che guida l’azienda produttrice di borse col marchio omonimo: “Anche in Russia si nota il rallentamento nei consumi che caratterizza questo periodo a livello globale. Ma sebbene ci siano tanti prodotti cinesi e turchi, i clienti mostrano sempre un occhio di riguardo per il made in Italy. Il prodotto italiano attira”. La stessa Gandolfi ha notato una leggera flessione dei visitatori, ma afferma che il salone “è andato benino”. Nota come i buyer locali siano attenti agli acquisti “rispecchiando quanto già visto al Mipel. Il clima di incertezza fa da cornice a tutto questo, compreso qualche problema di ritardo di consegna della dogana”.

Il punto di vista della scarpa

Passando alla calzatura, anche per Andrea Brotini del marchio Pakerson “il made in Italy è il nostro valore aggiunto ed è fondamentale per conservare quote di mercato in Russia”. L’imprenditore segnala come nonostante il clima freddo, le vendite non siano decollate e come il prezzo sia diventato un criterio di acquisto più importante che mai. Sulla stessa linea il giudizio di Gianluca Tombolini del marchio calzaturiero Fru.it: “Si è lavoricchiato, ma c’è tanta incertezza e paura. Da quella per il cambio rublo euro ad un inasprimento del conflitto. Questo non fa altro che frenare i clienti”. (mv)

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