Hermès si distingue da LVMH e Kering pure nella risposta ai dazi

Hermès si distingue da LVMH e Kering pure nella risposta ai dazi

Hermès si distingue pure nella risposta ai dazi. Il marchio francese ha liquidato in fretta la questione. Resta impassibile e annuncia che aumenterà i prezzi della stessa percentuale del dazio. LVMH non aumenterà i prezzi ma la produzione negli USA. Il boss Bernard Arnault dà la colpa a Bruxelles (e non al suo amico Trump) se ciò dovesse accadere. Kering si dice non preoccupato e che delocalizzare la produzione negli Stati Uniti “non ha senso”. Se applicati integralmente, i dazi statunitensi potrebbero includere un’aliquota del 20% su articoli di moda e pelletteria europei e del 31% sugli orologi svizzeri. Ciò impatterà negativamente sui profitti delle aziende che stanno cercando delle soluzioni per ridurre tale impatto.

Hermès si distingue

Hermès sembra aver risolto il problema in fretta. “Compenseremo completamente l’impatto di questi nuovi dazi aumentando i nostri prezzi di vendita negli Stati Uniti a partire dal primo maggio, in tutte le nostre linee di business”, ha dichiarato il CFO di Hermès Eric du Halgouet. Lo riporta Reuters. Ma non tutti possono farlo. Hermès può perché essendo uno dei marchi di lusso più esclusivi al mondo può far leva sul potere di determinazione dei prezzi. L’aumento, tra l’altro, si aggiunge ai normali aggiustamenti dei prezzi, che quest’anno sono stati del 6-7 per cento.

 

 

LVMH guarda agli USA

Hermès non produce negli USA. LVMH sì, ma i suoi marchi non hanno lo stesso potere di determinazione dei prezzi di Hermès. Durante l’assemblea generale annuale del gruppo che si è tenuta ieri giovedì 17 aprile, il CEO di LVMH Bernard Arnault ha dedicato molto tempo a discutere sull’argomento. “Dobbiamo cercare di risolvere la questione tariffaria creando una zona di libero scambio con il mercato più grande del mondo”, ha sottolineato Arnault. “Non è facile, perché l’Europa è governata da una burocrazia che discrimina le nostre industrie. Se falliamo – ha proseguito il CEO di LVMH – la colpa sarà di Bruxelles e dovremo aumentare la produzione per Louis Vuitton e Tiffany, che hanno stabilimenti produttivi negli USA”. Arnault, scrive Fashion United, ha anche affermato che “in futuro la qualità (dei prodotti) dovrà avere la precedenza sulla crescita a qualsiasi prezzo. Ma in passato non lo è stato? ci chiediamo noi. E ha affermato: “Dobbiamo evitare la banalizzazione del lusso. Vogliamo che questo gruppo rimanga il più desiderabile possibile, anche se dovessimo registrare una crescita leggermente inferiore. Se volessimo far crescere Louis Vuitton, non dovremmo far altro che premere un pulsante”. Il discorso fila anche se sostituissimo Louis Vuitton con Hermès.

Kering non delocalizza

Anche Kering, un paio di mesi fa, ha affrontato il tema dazi. Il CEO Francois-Henri Pinault ha affermato di non essere troppo preoccupato. E che rappresentando l’artigianato europeo, delocalizzare la produzione negli Stati Uniti “non ha senso”. Questo anche perché nessuno dei marchi di Kering produce negli USA, come ha dichiarato un portavoce dell’azienda a Fortune. Ma la sua dichiarazione sembra contrastare quella del suo rivale Arnault. Pinault non ha precisato se aumenterà i prezzi. Non è nella stessa posizione di Hermès ma anzi dovrà tenere conto dei deludenti risultati delle vendite dei suoi marchi. (mv)

Foto Hermès

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