Bye bye Versace. La vendita della griffe italiana agli statunitensi Michael Kors Holdings è cosa fatta. Valore dell’operazione, comunicato nella tarda mattinata di oggi: 1,83 miliardi di euro. L’acquisizione non porta cambi alla guida della griffe, che resta nelle mani del ceo John Akeroyd, mentre alla famiglia Versace resteranno quote per un valore di 150 milioni di euro. Quel che cambia, inevitabilmente (come accaduto per Coach, diventato Tapestry) è il nome della holding Michael Kors, che si trasforma in Capri Holdings, detentore (oltre che di Versace) di Jimmy Choo e del brand originario Michale Kors. “La notizia rappresenta un vero shock per i seguaci, ammiratori e clienti dell’iconico marchio italiano per i suoi forti valori familiari e di indipendenza” ha detto in una nota l’analista di Euromonitor International Florence Allday. Molti media sottolineano l’ennesimo marchio italiano che finisce in mani straniere ma diversi analisti non condividono questo assunto. Tra questi anche Guido Corbetta, esperto di strategie delle aziende familiari e docente alla Bocconi, secondo cui è una “normale mobilità del capitalismo nei sistemi evoluti”. A Fashion Network Corbetta cita il caso di Ermenegildo Zegna che ha acquisito il marchio statunitense Thom Browne. Dinamiche di mercato quindi che interessano soprattutto i marchi detenuti da una famiglia che non riescono più ad avere gli investimenti necessari per competere con grandi gruppi del lusso (Kering, LVMH o Richemont) o agglomerati come Tapestry (che ha acquisito Stuart Weizman e Kate Spade) e Kors che dopo Jimmy Choo ora ha comprato Versace. (mv)
TRENDING