Le ragioni sono varie: c’entrano la politica, il fatto che ora il denaro costa di più, i cambi di paradigma. Ma la finanza verde, così come l’abbiamo conosciuta intorno al 2020, è in profonda crisi. E le ultime defezioni da Climate Action 100+, la coalizione di gestori finanziari nata a Wall Street nel 2017 con l’obiettivo di sostenere le grandi aziende nella transizione green, ne sono l’ultima spia. Già, perché la coalizione ha perso in un solo colpo la partecipazione di JPMorgan, State Street e Pimco. Vale a dire tre soggetti dal valore di 14 bilioni di asset, chiosa Reuters.
Le defezioni da Climate Action 100+
Come sintetizza la stampa internazionale, questa non è l’unica brutta notizia per Climate Action 100+. Di recente la coalizione ha già visto BlackRock rivedere il proprio coinvolgimento, mentre Bank of America si è ritirata dall’impegno di non finanziare più nuove miniere di carbone, centrali elettriche a carbone e progetti di trivellazione nell’Artico. Le ragioni, dicevamo, sono sia tecniche che politiche. Da un lato incide un cambio di scopi della coalizione: partita con il focus sulla trasparenza su attività e rischi ambientali collegati, nell’ultimo anno si è riposizionata in maniera più esplicita sulla riduzione delle emissioni e sulla carbon neutrality. Quella che può sembrare una semplice variazione sul tema sottintende, in realtà, possibili rischi legali e, soprattutto, un’ingerenza nelle strategie industriali che suscita già negli States l’opposizione del Partito Repubblicano (nell’anno delle Presidenziali).
La crisi della finanza verde
Chi guarda alla vicenda in chiave appunto politica, osserva che il ridimensionamento di Climate Action 100+ lascia sola l’Europa nell’azione di contrasto al riscaldamento globale. Ma anche nel Vecchio Continente la finanza verde ha decisamente rallentato, dopo l’exploit post-pandemico. Risale al 2020-2021 la stagione d’oro dei cosiddetti “green bond”, i finanziamenti alle imprese legati al raggiungimento di obiettivi di sostenibilità. Ai tempi, per via delle politiche della BCE (la lunga stagione del “quantitative easing”) il denaro costava poco e gli istituti di credito potevano elargirne di più (e più a cuor leggero, oseremmo dire). Il ricorso allo strumento del green bond si è gradualmente affievolito. Fateci caso, è da un po’ che non se ne sente più parlare.
Foto da Shutterstock
Leggi anche: