Parafrasando la definizione dello stato di crisi che offre Financial Times, Christopher Kane è sull’orlo del baratro. Perché o trova in tempi brevi, brevissimi, un nuovo socio, o chiude. Il brand britannico, fondato nel 2006 dall’omonimo stilista (nella foto, al centro), ha presentato in Tribunale la richiesta di accesso all’amministrazione controllata. In particolar modo, riporta la stampa estera, l’intenzione è accedere alla cura di FTS Recovery, agenzia nazionale specializzata nella gestione di insolvenze e nella ristrutturazione d’azienda.
Un brand sull’orlo del baratro
Il passaggio in Tribunale rientra, a quanto si intende, in una strategia per guadagnare tempo. Per almeno 10 giorni i creditori (come i fornitori o i locatori) non possono mettere in campo azioni per reclamare i propri soldi. Mentre Kane, nel frattempo, può procedere con il proprio piano di salvataggio. In che consiste? Spingere un po’ sul marketing per dare respiro alle casse. E, soprattutto, trovare un acquirente del business e dei suoi asset. In alternativa, proverà a rifinanziare il debito.
L’ex gioiellino di Kering
Quando Kane ha fondato il proprio brand era un giovane enfant prodige diplomato alla Central Saint Martins di Londra. Quando nel gennaio 2013 il gruppo PPR (che di lì a due mesi avrebbe cambiato il nome in Kering) rilevò il 51% dell’azienda, lo fece certo di poter traghettare il marchio verso grandi lidi: “Ha un enorme potenziale di crescita – diceva François-Henry Pinault –, abbiamo grandi ambizioni”. Le cose, però, non sono andate secondo programma e cinque anni dopo, quando la holding francese era impegnata in una manovra di disinvestimento dai brand considerati poco strategici (come Puma e Stella McCartney), il controllo di Christopher Kane è tornato al fondatore e alla sorella. Non è noto a quanto ammonti il fardello di debiti che schiaccia l’impresa. Vogue Business sostiene che gli aumentati costi operativi, gli attuali standard di sostenibilità e la burocrazia imposta da Covid sono stati la pietra tombale sul bilancio.
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