Meno prestiti alle imprese. E quindi meno investimenti, in un’economia dove la fiducia delle aziende è ai minimi. I dati della BCE, elaborati dalla banca d’investimento Jefferies e riportati dal Sole 24 Ore, dicono che a luglio in Italia il volume di prestiti alle imprese è calato del 3,7% su base annua. Il risultato, che segue il –2,9% di giugno, fa del Belpaese “il fanalino di coda tra le maggiori economie dell’Eurozona nella graduatoria dei prestiti bancari alle imprese – commenta il quotidiano finanziario –. La media europea indica una crescita del 2,2% (+3% di giugno), trainata da Germania e Francia”. Come se non bastasse, il credit crunch si accompagna al calo della fiducia delle imprese (“in Italia scivolata ad agosto ai minimi dal 2022”, scrive il Sole) e del fatturato (-0,6% nel II trimestre).
Perché ci sono meno prestiti
Le avvisaglie del credit crunch si vedevano già in primavera. Da quando prima FED negli Stati Uniti e poi BCE (settembre 2022) hanno cominciato a rialzare i tassi per contrastare l’inflazione, il panorama finanziario si è fatto complesso. O per meglio dire: asfittico. Al tema abbiamo dedicato il mensile n. 6 – 2023 de La Conceria (“Credito”), nel quale abbiamo raccontato il trend dalla prospettiva delle aziende della filiera della pelle. Il Sole 24 Ore, intanto, si sorprende che la stretta creditizia stia colpendo più duramente l’Italia di altri Paesi europei (dalle performance di PIL inferiori). Suggerisce due spiegazioni. La prima è che nella crescita del prodotto interno lordo incidano settori poco “credit intensive” (cioè che fanno minor ricorso ai prodotti finanziari), come i servizi e il turismo.
La seconda spiegazione
La seconda, invece, guarda al tessuto industriale nostrano. “L’Italia è certamente il Paese in cui l’economia è più fortemente caratterizzata dalla presenza di piccole e medie imprese – sostiene il quotidiano – che, pur avendo migliorato la patrimonializzazione rispetto alla crisi economico-finanziaria di 15 anni fa, sono sottocapitalizzate rispetto alle medio-grandi e rientrano quindi nelle classi di rating più basse. Un problema per le banche che, alla luce delle nuove regole, cercano di minimizzare l’assorbimento di capitale collegato ai prestiti alla clientela a basso rating”. Se gli istituti di credito, però, chiudono i rubinetti, rischia di andare in tilt il sistema produttivo: meno prestiti, meno fiducia, meno investimenti.
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